Story telling e retorica vinosa

Non basta la competenza per poter parlare di vino, bisogna avere anche tecnica e talento e mettersi al servizio dei lettori o degli ascoltatori.
Una cosa che a volte non è chiara a tutti è che saper scrivere e saper parlare in pubblico sono dei veri mestieri e bisogna avere tecnica e talento. C’è chi si mette a raccontare di vino senza tenerne conto con il risultato di far addormentare la platea o di far smettere di leggere dopo poche righe. In entrambi i casi c’è una sopravvalutazione delle proprie doti e una sottovalutazione dei lettori o degli ascoltatori.
Non basta, insomma, conoscere anche bene una materia per saperla comunicare, e gli esempi di come sia semplice scadere velocemente nella retorica più scontata, spesso cercando solo di sfoggiare competenza e preoccupandosi poco dell’efficacia di ciò che viene detto o scritto è un rischio reale. Il cosiddetto story telling, che sarebbe anche bene chiamare racconto, è un’arma a doppio taglio e va usato con attenzione.
Permettetemi a questo proposito un ricordo personale. Tra coloro che mi hanno insegnato il mestiere c’è stato un grande giornalista friulano che si chiamava Isi Benini, e che ha diretto per anni la sede Rai di Udine e una splendida rivista dell’epoca che si chiamava Il Vino. I miei primi balbettii professionali iniziarono anche lì, nel 1980. Isi era un vero maestro della comunicazione, e quando provavo a imitare lo stile di Luigi Veronelli, che consideravo più o meno come il dio del vino, lui mi bacchettava inesorabilmente. “Veronelli, e anche Gianni Brera, hanno degli stili personali e inimitabili. Loro possono scrivere come scrivono, se lo fai tu diventi ridicolo e retorico. Devi farti capire da chiunque, anche da chi non sa di vino, e devi fare il giornalista, non il poeta, che comunque ti viene male”.
Se quelle parole me le ricordo ancora dopo quarant’anni, e se le faccio mie parlando con qualche collaboratore, lo devo a lui che mi ha fatto capire, anche in modo ruvido, cosa era meglio o peggio fare nel nostro lavoro. Perciò mi permetto di invitare a un ragionamento tutti coloro che scrivono di questi argomenti e che fanno i relatori delle migliaia di corsi sul vino che ci sono in Italia. Facciamoci capire di più, mettiamoci di più al servizio del pubblico, magari di persone che vogliono avvicinarsi a questo mondo senza sentirsi respinte da atteggiamenti autoreferenziali, retorici e insopportabili. Sono convinto che questi aspetti saranno essenziali nel prossimo futuro, e il ruolo di efficaci divulgatori sarà più importante dello sfoggio di competenza fine a sé stesso e persino della voglia irrefrenabile che qualcuno ha di mettersi in cattedra a tutti i costi, anche giudicando in modo talvolta sprezzante vini e cantine.
La competenza dovrà esserci, ovviamente, ma solo per rendere più semplice e accessibile la materia della quale si parla o si scrive. Il vino, in questo caso, ma forse anche tante altre cose.