I vini popolari

di Daniele Cernilli 25/03/19
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I vini popolari

In Italia la metà della popolazione beve e acquista vino con una certa continuità. Per rivolgersi a loro bisogna prendere in considerazione vini “popolari”.

C’è una tendenza precisa nella critica enologica internazionale ed è quella per cui si debba scrivere principalmente di vini facilmente reperibili, dal costo non eccessivo e di piacevole bevibilità. Sembrano cose di una banalità sconcertante, ma solo in apparenza. Se consideriamo che i principali wine writers di tutto il mondo si rivolgono a un pubblico in gran parte non così competente e devono dare delle dritte per l’acquisto, la cosa è molto meno scontata di come potrebbe apparire.

Va poi aggiunto che in molti Paesi ci sono tassazioni elevate per i vini importati, quindi i loro prezzi sono sensibilmente più alti di come siamo abituati qui in Italia. Negli Usa, ad esempio, una bottiglia da 9,99 dollari è considerata un entry level, mentre da noi l’equivalente di 8 euro e 50 è una cifra notevole per un vino quotidiano. Certo, il target di consumo di vino in certi Paesi è più elevato che da noi, e anche il reddito pro capite è maggiore, ma sta di fatto che per avere un prezzo di vendita al supermercato inferiore ai 10 dollari, il costo di una bottiglia all’origine non potrà essere maggiore di 3 euro franco cantina. Per queste ragioni avere il parere di un esperto può orientare scelte e i responsabili delle varie rubriche sui quotidiani locali o dei blog vinosi sono particolarmente attenti a dare indicazioni e valutazioni.

Da noi è un po’ diverso. Non ci si divide fra bevitori di vino abbastanza attenti e consapevoli e “non” bevitori, come altrove. In Italia la metà della popolazione beve e acquista vino con una certa continuità. La comunità degli appassionati legge, s’informa, si appassiona, appunto. Fa corsi, è sensibile ad alcune parole d’ordine. Ma è una minoranza di persone. La stragrande maggioranza sceglie in base al prezzo, alle poche tipologie che conosce, spesso legate alla propria origine regionale o al luogo dove vive, visto che si fa vino quasi ovunque, e persino alla gradazione alcolica.

Ho la fortuna di avere ancora mio padre in vita, alla bella età di quasi 97 anni, e lui da più di ottanta beve almeno un bicchiere di vino a pasto. Dev’essere bianco, di non più di 12 gradi alcolici, spesso dei Castelli Romani (siamo di Roma) e non troppo profumato. Poi non deve costare più di 5 euro al supermercato. È un identikit preciso di un vino popolare del centro Italia. È quasi sempre Frascati o Marino, ma può essere anche una Falanghina del Sannio, un Trebbiano d’Abruzzo, un Orvieto. Ultimamente gli ho proposto un Müller Thurgau trentino che gli è piaciuto molto, ma era un po’ troppo profumato, mi ha detto. Persone come lui, e ce ne sono molte, non leggono di vino. Forse perché pensano che chi scrive si occupa di “roba per esperti”, di vini costosi o poco reperibili o di complessa interpretazione. E forse perché la “letteratura” enologica nel nostro Paese si rivolge quasi esclusivamente a un pubblico di appassionati e di addetti ai lavori, un po’ come la critica d’arte, per fare un parallelo.

Per provare a fare diversamente sarebbero necessarie alcune precondizioni. La prima è quella di usare un linguaggio molto più comprensibile e meno “paludato”. La seconda è di occuparsi di vini alla portata dei più, anche a livello di comprensione e di reperibilità, oltre che di prezzo. La terza di avere uno strumento di comunicazione che possa davvero raggiungere facilmente quel tipo di pubblico. La quarta è di dare indicazioni per far andare le persone nei luoghi di produzione, favorendo il turismo enologico e la conoscenza di zone, di cantine e di produttori. La quinta è quella di non demonizzare preventivamente i vini che piacciono a larghe fasce di persone, e che magari si trovano soprattutto nella grande distribuzione, un vizietto molto diffuso fra i cosiddetti “esperti”.

Per comunicare, insomma, bisogna identificare il pubblico al quale ci si vuole rivolgere, e poi farsi capire per risultare utili. Per questo prendere in considerazione i vini “popolari” è molto importante. Negli Usa, in Gran Bretagna, in Germania, chi scrive di vino lo ha capito da tempo. Da noi facciamo più fatica, secondo me, ma non è detta l’ultima parola.





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