Monprivato, un cru nella terra di mezzo

Nonostante la lunga storia che accompagna la sua famiglia, Mauro Mascarello spesso è stato considerato “l’altro Mascarello”, oppresso dalla forza comunicativa derivante dall'apparente non comunicazione di Bartolo. Eppure l’apporto di Mauro al Barolo è fatto di lunghe tradizioni, di intense innovazioni e soprattutto di lavoro, tanto lavoro. La famiglia è di antiche origini langarole; abbiamo notizie scritte che i Mascarello lavoravano per la “mitica “ marchesa di Barolo Colbert, colei che ha inventato il Barolo e ne ha dato notizia al mondo. Nel 1881 la famiglia Mascarello si mette in proprio ed inizia a vinificare le proprie uve, anche se poco sappiamo della loro commercializzazione. Venendo a tempi più recenti i Mascarello furono tra i primi a fare le potature verdi, quella pratica che prevede la diminuzione della resa per pianta onde ottenere uve migliori. Le uve provengono principalmente da selezioni massali fatte in azienda con cloni molto vecchi e quasi tutte dimichet, la varietà di nebbiolo da tutti considerata la meno produttiva ma anche la più qualitativa fra quelle ammesse per la produzione del Barolo (che ricordiamo sono la lampia, più costante e produttiva, e la rosé, di cui si sono quasi perse le tracce, in quanto dava vini troppo diluiti e che oltre tutto si è recentemente appurato essere un genotipo diverso, quindi, un vitigno a sé stante). La famiglia è da sempre a Castiglion Falletto, uno dei cinque comuni classici del Barolo. In effetti, sebbene siano passati tanti anni, per me la divisione fatta da Renato Ratti dei territori e dei cru del Barolo è sempre valida, sebbene con alcune dimenticanze poi integrate da una bellissima opera di Slow Food. Questa ridefinì i confini dei cru della zona in maniera precisa ed ampliò il numero di terreni vocati, anche in base alle risultanze della metamorfosi che il Barolo aveva avuto negli anni '80, sia su base tecnica che su base sociale: una vera rivoluzione. Io sono ancorato ad una visione molto tradizionale dei territori del Barolo e personalmente ritengo il Barolo quello proveniente solo dai 5 comuni interni al ferro di cavallo ed alla spina centrale dei cannubi, che a mio avviso finiscono prima dei vigneti di Sandrone. Un concetto che mi trasmise Beppe Colla, un mito del mondo barolista.
Ma veniamo al Monprivato. Si tratta di un cru della terra di mezzo, perchéè al confine di due ere geologiche presenti nel territorio del Barolo, il tortoniano e l’elveziano, con configurazioni maggiormente tendenti alle sabbie il primo ed al sasso più sciolto il secondo. Monprivato è un corpo unico di ben 6,80 ettari (una vera rarità per la zona), con una bella esposizione sudovest ed una altezza media che si aggira sui 280-300 metri sul mare. Da qui deriva un vino di grande eleganza che ha nella finezza dei tannini la sua più grande virtù; a ciò si associa una bella struttura, superiore a quella di alcuni lamorresi ed inferiore a quelli dei baroli di Serralunga e Monforte.
La verticale di Monprivato alla quale ho assistito, organizzata dall’Enoclub di Siena, partiva dal primo Monprivato prodotto, il 1970. Un'idea innovativa per l’epoca che raramente vedeva vinificati separatamente i cru aziendali: questa è un'altra delle grandi innovazioni di Mauro Mascarello avvenuta in tempi non “sospetti”.
Di seguito, le schede di degustazione delle annate presentate: 2004-2001-1999-1990-1985-1978-1970.