Baglio Florio, Marsala Vergine Riserva (1)

Quella del Marsala è una denominazione che soffre delle mille diverse tipologie presenti sugli scaffali della gdo, che creano confusione anche a livello qualitativo.
Il Marsala è rimasto imbrigliato nelle sabbie mobili del boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, quando compì un triplo salto mortale e si trasferì repentinamente dai tavoli dei migliori bar dei centri storici nella gdo, senza step intermedi né, molto probabilmente, alcun tipo di piano di comunicazione. Di tutti i più grandi vini italiani – perché nelle tipologie migliori è di questo che stiamo parlando, di un vino che guarda Barolo, Brunello di Montalcino & co. dritto negli occhi – oggi è quello maggiormente in credito di reputazione: un aspetto che stride ancora di più se lo confrontiamo con i suoi “cugini” iberici, che stanno conoscendo una nuova fase di rivalutazione, fatta di maggiore attenzione alle scelte agronomiche e volontà di trasferire in bottiglia le differenze di territorio.
Dire Marsala significa dire Florio, azienda che produce più della metà delle bottiglie a doc. Un’azienda con quasi 200 anni di vita – fu creata nel 1833 – espressione della passione enologica della famiglia omonima, che a metà Ottocento era annoverata tra le più importanti famiglie imprenditoriali a livello nazionale.
Nel 2003 l’azienda si è fusa con un altro pezzo da novanta del vino siciliano, la Duca di Salaparuta, assumendo la nomenclatura “Duca di Salaparuta Spa”. Oggi la Spa è controllata da un autentico colosso dell’agroalimentare, la ILLVA di Saronno.
La dimensione fortemente imprenditoriale che Florio continua ad avere non tragga in inganno: scordatevi la Borsa di Milano e gli uffici di città, perché Florio significa storia e tradizione, e la visita in azienda, se andate a Marsala, non è fortemente consigliata, ma obbligatoria. Sarebbe come andare a Parigi senza visitare il Louvre, senza esagerazioni.
Il Marsala non è però solo la storia (vera) del mercante inglese John Woodhouse, della visita di Garibaldi alle cantine Florio, i fasti di fine Ottocento e vette organolettiche pari ad un grande Sherry Oloroso: è anche una denominazione lasciata a sé stessa, priva di progettualità, una denominazione martoriata da un disciplinare veramente troppo lassista e da tragiche scelte di naming, a partire dall’aver permesso di utilizzare il termine “Marsala” nella dicitura “Marsala all’uovo”: un prodotto di suo certamente dignitoso e piacevole, ma che per il Marsala vino costituisce – ad essere parecchio benevoli – solo un gigantesco dito nell’occhio.
Dicevamo del disciplinare, che permette di aggiungere la terminologia “Fine” a Marsala invecchiati un solo anno, in vini che necessitano sempre di molti anni per esprimere il loro reale carattere ossidativo (le conclusioni le lasciamo al lettore); nel quale la tipologia in rosso, denominata “Rubino” appare più che altro una risposta poco convinta al Porto Ruby; un disciplinare che si perde in una giungla burocratica di nomenclature quasi impossibili da memorizzare. Però, quando il Marsala è fortificato solo con distillato di vino dal gusto neutro (ed è il caso del Marsala Vergine), o al limite con un’aggiunta ragionevole di mistella di qualità (ed è il caso dei migliori Marsala Ambra), e soprattutto quando nasce da una preponderante presenza di uva grillo, ben più dotata dell’inzolia e del catarratto all’ottenimento di grandi vini ossidativi, è possibile ritrovarsi nel bicchiere qualcosa di straordinario, come il Marsala Vergine Riserva Baglio Florio.
Oggi la produzione Florio è guidata da Roberto Magnisi, classe 1978, di formazione chimica.
DoctorWine: Il Marsala paga il fatto di essere percepito come vino “industriale”, le atroci scelte di marketing del Dopoguerra che lo hanno portato ad essere confuso con un ingrediente di cucina, la burocrazia, o tutte questa cose insieme?
Roberto Magnisi: Il Marsala, purtroppo, soffre di un passato e di un presente macchiati da esercizi commerciali di scarsa qualità, che hanno condizionato e che continuano a condizionare negativamente il gusto e l’apprezzamento di questa nobile denominazione da parte di molti consumatori. Non esiste un unico motivo dello sviamento del Marsala di qualità dal contesto sociale ed economico, esistono bensì diverse ragioni che ne hanno causato l’allontanamento. La mancanza di una politica comune di qualità organolettica a protezione del marchio ne ha determinato lo svilimento estetico. Occorre riaffermare un movimento di bellezza ed eleganza del Marsala di qualità, divulgandone il verbo.
DW: Non pensa che il Marsala abbia bisogno di una denominazione di ricaduta per le tipologie Ruby e Fine?
Le molte categorie che arricchiscono il disciplinare di produzione del vino liquoroso Marsala creano non poca confusione nei nostri consumatori e, probabilmente, una critica rivisitazione della piramide potrebbe foraggiare un esercizio di qualità all’interno della stessa categoria. La categoria Fine si fregia della nobile menzione Marsala con un solo anno di età!
DW: Come vedrebbe, all’interno della rivisitazione del disciplinare, la possibilità di inserire in etichetta i nomi delle sottozone di produzione migliori?
RM: Si tratterebbe di un esercizio nobile, che andrebbe studiato e dimostrato e che potrebbe trovare dimora nei Marsala di Qualità di categoria Vergine.
A domani, per il saldo dell’intervista e la degustazione verticale di 4 annate del Baglio Florio.
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