Barolo, le Langhe, l’Europa, il mondo

di Enzo Di Giacomo 16/03/17
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Barolo, le Langhe, l’Europa, il mondo

Siamo in uno dei territori più vocati alla vitivinicoltura italiana, dove la Corte Sabauda e l’alta borghesia tra la fine del Settecento, per tutto l’Ottocento e metà del Novecento prima e piccoli-grandi vignaioli poi hanno realizzato - e realizzano - vini di qualità. Nel 2014 l’Unesco ha riconosciuto il valore universale dei paesaggi vitivinicoli piemontesi, iscrivendo il sito I paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato nella lista del Patrimonio Mondiale, perché quei paesaggi «sono una eccezionale testimonianza vivente della tradizione storica della coltivazione della vite, dei processi di vinificazione, di un contesto sociale, rurale e di un tessuto economico basati sulla cultura del vino».

Stiamo parlando delle Langhe, di Barolo, Castiglione Falletto, Serralunga d’Alba, Monforte d’Alba, Novello, La Morra, Verduno, Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Cherasco e Roddi, Comuni nei quali il disciplinare riconosce la produzione del Barolo.

Siamo in una sub-regione “magica” per il suo humus, per quel miracolo di allineare filari infiniti di vigneti a nebbiolo che, chissà perché, fanno pensare a un altro territorio magico, il Chianti. In quel perimetro vitivinicolo si allineano paesi e terreni conosciuti per essere stati residenze della Corte dei Savoia e perché il vino veniva vissuto come prolungamento della Borgogna.

Scriveva il Conte Riccardi: «Io sono impastato di Langa, le vigne, le colture, i gerbidi, i rittani, i noccioleti, la terra aspra e faticata, le case aggrumate sulle colline, il cimitero – frammezzo alle vigne – colmo di ricordi e talvolta anche di sole, sono la mia vita e non c’è altra terra al mondo che mi parli contemporaneamente delle ricordanze e del desiderio di lasciare un segno, anche tenue, accanto a quelli di coloro che mi hanno preceduto; né vi è altra terra che mi conforti negli aspri momenti che la vita elargisce quotidiani».


Ecco non “vi è altra terra” per Enzo Brezza al di fuori di Barolo, dove nei 17,5 ettari vitati dell’Azienda produce vini di qualità apprezzati anche all’estero. Una produzione annua di circa 100.000 bottiglie (35.000 di Barolo) esportate in Germania, Svizzera, Norvegia e soprattutto negli Stati Uniti. I vigneti sono dislocati per 12,5 ettari nel Comune di Barolo, 2 a Monforte d’Alba, 1 a Novello e 2 ettari tra Diano d’Alba e Alba nella zona del Nebbiolo d’Alba.

Quella di Enzo Brezza dell’azienda agricola Brezza Giacomo e Figli è la generazione del terzo millennio che guarda con la fiducia e determinazione trasmessa dal padre e dal nonno a un futuro che ha un cuore antico: il cuore della vite, del vino fra tradizione e innovazione, anzi evoluzione come lui stesso la definisce.

Posti a 300 metri sul livello del mare i terreni del Barolo hanno caratteristiche pedo-climatiche che si declinano nella freschezza floreale del Nebbiolo Doc e nei toni fruttati del Nebbiolo d’Alba Vigna Santa Rosalia, diversi dalla produzione di Barolo nella zona sud-ovest di Monforte d’Alba e Novello affinato in grandi botti di rovere di Slavonia. Una menzione geografica aggiuntiva risalente al 1752 merita il Vigneto Cannubi.

Poi il Barolo Sarmassa Vigna Bricco, coltivato a metà collina con esposizione a sud, là dove la neve si scioglie prima e dove acquisisce complessità e rotondità. Il gioiello di famiglia.

«Il vino Barolo è un sogno, una rievocazione, un dono della terra e dell’aria di Langa. Un pensiero tranquillo che ritempra lo spirito e il corpo… Una volta non c’era. Né si sa cosa ci fosse. Onore e merito a chi ha avuto il buon gusto di tramandarcelo» ha scritto l’enologo Massimo Martinelli nel suo libro “Il Barolo come lo sento io”.

Foto © Enzo Di Giacomo





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