Idylio, la nuova sfida di Francesco Apreda

di Livia Belardelli 14/05/19
1921 |
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Apreda Idylio

Il noto chef napoletano porta le sue esperienze giapponesi nel nuovo progetto del ristorante Idylio, all’interno de The Pantheon Iconic Rome Hotel.

Spezie scolpite, sapori netti, contaminazioni. Cambia il luogo, cambia il nome, ma non cambia l’emozione di una cucina che ingloba viaggi, esperienze, suggestioni.

Non cambia nemmeno il sorriso di Francesco Apreda, sempre solare e ospitale, e il luccichio degli occhi acqua marina che brillano quando ci accoglie dentro la sua nuova casa, Idylio, al The Pantheon Iconic Rome Hotel, Cinque stelle del gruppo Tridente Collection. Siamo a un passo dal Pantheon, tra i vicoli del centro storico. Eppure Idylio parla di Oriente, di Asia, di commistioni tra Napoli, Roma, Tokyo e Mumbai.

Prima di varcare la soglia gastronomica del gourmet la tappa obbligata è sulla terrazza Divinity, all’ultimo piano dell’hotel. Vista sulla cupola del Pantheon, su Sant’Ivo alla Sapienza, capolavoro lieve del Borromini, e sui tetti di Roma. Un’atmosfera sospesa, interrotta qua e là dal volo bianco di un gabbiano, da un sussurro di brezza, dal tepore del sole, ancora tiepido in questi primi giorni di maggio. Luogo ideale per un calice di vino, per un bacio, per un aperitivo al tramonto o una cena estiva. A breve aprirà ufficialmente questo gioiello nel cielo romano e anche qui la mano di Apreda sarà fondamentale, tra carpacci, mozzarelle di bufala, tocchi partenopei, “spezial” pizze.

E poi c’è Idylio, al piano terra dell’hotel. Niente vista su Roma ma pareti dai richiami orientali, ottoni, geometrie eleganti e farfalle. Proprio questo insetto aereo e multicolore è il simbolo del ristorante e della nuova avventura professionale dello chef.

“La farfalla rappresenta il cambiamento, l’evoluzione, spiccare il volo per questa nuova avventura” ci racconta Apreda ancora prima di iniziare il nostro viaggio. Un viaggio che è il suo e che diventa il nostro, tra mille profumi e suggestioni che colpiscono in base al proprio vissuto, con sensazioni ed emozioni che si insinuano tra i ricordi e i gusti di ognuno. Tre menù degustazione – uno dedicato a Roma, un altro ai suoi cavalli di battaglia e l’ultimo più stagionale –, noi saltiamo dall’uno all’altro, come farfalle, o come gli uccelli sulla tappezzeria, da un ramo all’altro. Ci sono tanti omaggi alla capitale, tutti filtrati come biscotti “pucciati” nell’Asia, che a volte è curry al latte di cocco per la Vignarola in viaggio, altre un’affumicatura con foglie di tè Lapsang Souchong, che sembra uno scioglilingua per non asiatici ma che ha il profumo intenso dell’incenso. Questo profumo mistico e affumicato che per chi è andato lontano può ricordare l’odore di Benares e delle sue pire lungo il Gange, oppure semplicemente l’odore dell’incenso in sagrestia. E c’è il Bun al Cacao, Vaccinara in Alga Nori, una micro molotov che esplode in bocca e fa strada ad altre mille suggestioni. Come il Risone con il battuto di polpo, “la pastina per bambini” ricorda Apreda. E infatti l’aspetto è quello della pastina in brodo dell’infanzia, un ricordo antico che qui gioca con un polpo dolce e marino e un finale piccante che resta in bocca. “Il peperoncino lo uso molto, rinfresca ed esalta ogni sapore” ci dice per poi tornare al polpo e al ricordo di una giornata giapponese di molti anni prima, passata ad osservare un vecchio venditore in strada che friggeva polpi e li immergeva in una glassa scura e densa.

“La cucina che mi ha colpito di più è quella giapponese, ho vissuto lì tre anni, ho mangiato in grandi ristoranti, per strada, tra la gente, nelle bettole. L’influenza indiana è molto presente nei miei piatti, la cucina indiana è intensa, ma come ti fulmina la cucina giapponese…nessuna”. Ed eccola che torna, come un’onda, nelle preparazioni, nella salsa teriyaki e in un liquido alcolico che c’è, ma non si vede, il sakè.

C’è più sakè che vino nella sua cucina – anche se la cantina del The Pantheon con più di 600 etichette potrebbe lasciare spazio alla creatività – che si insinua in ogni brodo e persino nell’ultimo boccone del pasto, il babà bagnato al sakè con frutto della passione e pepe, un concentrato di mondo.

Se il vino di riso è un Leitmotiv tra gli ingredienti, a occuparsi della sala, del vino “da uva” e degli abbinamenti ci pensa Alessandro D’Andrea, che in particolar modo centra l’obiettivo con un pinot nero di Gottardi che si sposa a perfezione con il pollo ai peperoni dello chef. Per l’abbinamento Apreda preferisce affidarsi a lui, che insieme ai vini propone abbinamenti curiosi come quello con il dolce con il cuore di cardamomo che flirta con il drink a base di gin, rosa e cardamomo. Francesco invece è amante delle bollicine francesi ma ultimamente si è appassionato ai sauvignon friulani che ama per la loro “sapidità e freschezza”. E il vino, nella sua cucina, povera di sale, non è solo accompagnamento ma diventa quasi ingrediente per bilanciarne le componenti, per esaltare, con il semplice accostamento, la sapidità di un piatto. D’altronde la parte iodata è intrinseca nella sua cucina perché, tra una suggestione giapponese e una indiana, viene da chiedersi cosa rappresenti la sua napoletanità.

“Qual è l’ingrediente più partenopeo che ti porti dietro?” gli chiediamo.

“Il mare”.

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Idylio
14/05/19 Redazione




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