Aperitivo In Salotto e cena da Adelaide all’hotel Vilòn

Sapori netti, cotture e consistenze precise e riconoscibili, semplicità e gusto: questi gli ingredienti della cucina di Gabriele Muro al ristorante Adelaide dell’hotel Vilòn a Roma.
C’erano una volta uno scenografo, un fotografo e un interior designer. E poi il profumo dei pescherecci di Procida, le suggestioni tropicali del Costa Rica, il tocco elegante dell’aristocrazia romana e l’esotismo delle atmosfere coloniali. Un piccolo mondo antico, senza tempo, nel cuore di Roma, nel rione Campo Marzio, in una via stretta e nascosta. Questo è ciò che si respira varcando la soglia del numero 69 di via dell’Arancio, per entrare all’hotel Vilòn, dimora annessa a Palazzo Borghese.
Un melting pot, una commistione di elementi diversi che si armonizzano perfettamente nella loro diversità, costruendo attraverso un sapiente incastro un’atmosfera unica e lieve. È una scoperta, un luogo che non ti aspetti. In un attimo ti ritrovi in un salotto di altri tempi, in un lounge bar dove gli arredi strizzano l’occhio alle sonorità soffuse della bossa nova, dove allo stile classico si alternano motivi marocchini, arredi deco, tessuti dalle cromie vivaci, piante verde vivo effetto “jungle” che preludono al riservato patio oltre le grandi finestre. E poi quadri, enormi fotografie che ritraggono architetture classiche condite di tocchi surrealisti, suggestioni metafisiche che completano l’eclettismo del luogo. Se l’atmosfera è frutto del lavoro di Paolo Bonfini, scenografo cinematografico che firma gli interni del Vilòn, di Giampiero Panepinto che dà il suo tocco estroso agli spazi e dalle fotografie di Massimo Listri, l’accoglienza In Salotto, questo il nome del lounge bar, è data dal sorriso solare della bar lady Magdalena Rodriguez del Costa Rica. Sciroppi, spezie, erbe aromatiche, fiori. Boccioli di rosa, fiori di malva, lavanda, cannella, acque aromatizzate ogni giorno diverse e una mano elegante e sicura nel proporre i Signature Cocktail creati per il Vilòn, dall'Hemingway Daiquiri all’Ottobrata Romana.
Poi si entra da Adelaide, il ristorante dell’hotel che prende il nome da Adelaide Borghese, un salotto aristocratico ma accogliente al tempo stesso, dal servizio impeccabile ma non affettato, sempre nell’ottica di una proposta elegante ma in un’atmosfera intima e senza eccessivi formalismi. È il regno di Gabriele Muro, chef procidano. Ci racconta l’infanzia isolana, e d’un tratto siamo nell’isola di (Arturo) Elsa Morante, tra i profumi intensi di ginestra, “le straducce solitarie chiuse fra muri antichi, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali”, tra le “spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascoste fra grandi scogliere”. Sul porticciolo di Procida, in attesa del ritorno dei pescatori, usciti ad affrontare il mare di notte con le lampare, c’è il giovane Gabriele. Ed ecco le barche che rientrano in porto, accompagnate dal volo vorace e intelligente dei gabbiani. “Ci regalavano le cassette di alici e noi non potevamo pulirle fino al giorno dopo, il pesce era troppo fresco per riuscire a togliere le lische”.
Dal porticciolo dell’infanzia a oggi, Gabriele ne ha fatta di strada, passando per le cucine stellate di Svizzera e Spagna, da quella di Ramòn Freixa a Madrid a quella di Pietro Leeman al Joia Alta Cucina Naturale, al romano Achilli al Parlamento.
Al tavolo si presenta col sorriso solare del sud, appena velato di un’ombra di timidezza. Il tempo di una pagnotta calda di pane da “pucciare” nei due olii in degustazione, scegliere una bottiglia dalla carta dei vini – molto classica – e si parte con le proposte dello chef.
Qualche piatto assaggiato: Crostino burro, alici, peperoncini verdi e burrata; Panzanella di Traiano: crudo di pomodoro, insalata di molluschi e crostacei; Capriccio d’estate: linguine di Gragnano, mantecata ai ricci di mare, carpaccio di pezzogna, menta, capperi, limone candito; Non solo giovedì: gnocchi di patate, soffice e croccante di baccalà e crema di peperoni alla brace.
Sapori netti, cotture e consistenze precise e riconoscibili, semplicità e gusto. Un approccio emotivo e “proustiano” alla cucina che ha come mission un evidente tuffo nella memoria, un ritorno all’infanzia (dello chef) e alla spensieratezza (nostra).
Curiosa e stuzzicante anche la Carta dei Dolci, a cura del giovane chef pâtissier Andrea De Benedetto. Tra tutti il più scenografico e particolare è: Vi svelo un segreto, biscotto morbido e crumble di mandorla, namelaka alla mandorla, gel di pompelmo e agrumi freschi. Tu vuò fà ll’americana è un brownie alle banane, semifreddo alle noci pecan, pralinato di pecan, composta di banana, cialda di pane e banane caramellate. E poi non può mancare il Babà al rum, in versione esotica, con composta di mango e ananas, chantilly, lemongrass e menta.
Prima di andar via si potrebbe uscire nel patio verdeggiante per sorseggiare un ultimo cocktail (anche in versione mini su richiesta), magari un Hemingway Daiquiri in abbinamento a un sigaro cubano e alla brezza estiva, mentre la quadreria, una piccola saletta dal sapore ottocentesco (dove si può cenare in privato), occhieggia nella penombra e i profumi estivi di una Roma nascosta aggiungono alla serata quell’ultimo tocco di frizzante spensieratezza.