Tè o caffè
Della serie, dimmi cosa bevi e ti dirò che vino di piace. Non è uno scherzo o una battuta, ma solo un ragionamento sulla base di quanto mi ha detto Johann Rupert, magnate sudafricano, “chairman” della Richmond (azienda che possiede, tra gli altri, marchi come Cartier e Vacheron Constantin) e produttore di vini di qualità in Franzschhoeck. L’ho intervistato qualche mese fa per Spirito di Vino, splendida rivista con la quale collaboro da qualche tempo, ed alla mia domanda su come vede i vari mercati internazionali del vino, mi ha detto, testualmente: “E’ necessario analizzare quali sono le abitudini alimentari dei vari popoli per capire come vanno le cose. Ad esempio, nei Paesi dove la gente beve tè, i vini tannici ed aggressivi, o troppo alcolici, non saranno capiti facilmente. Preferiranno rossi eleganti, come i vini di Borgogna, di Bordeaux o della Touraine, magari dell’Oregon o di Central Otago. Poi gli Champagne e certi bianchi. Ma non rossi corposi. Pensi alla Gran Bretagna, ad esempio, ma anche alla Cina. I rossi di aree climatiche più meridionali, come l’Italia, ma anche la Spagna, l’Argentina e il Sud Africa, saranno più apprezzati da chi è prevalentemente bevitore di caffè, abituato ai tannini, alle note di tostatura, ad una certa aggressività di gusto, smorzata dalla dolcezza dello zucchero. Sembra l’identikit degli Stati Uniti, ma anche di molte popolazioni dell’Europa meridionale”.
C’è da dire che poi c’è tè e tè, e che il tè nero dell’Assan ha quasi la forza di un caffè, ma a me è sembrata una generalizzazione abbastanza illuminante. C’è del vero in quello che ha detto Rupert, e del resto un imprenditore della sua forza dev’essere capace di fare sintesi apparentemente ardite, ma che poi funzionano, visti i successi che ottiene. Ma questo vuol dire, ancora una volta, che il “buono”, almeno lui, è qualcosa di relativo e di storicizzabile, ameno quanto il “bello”. Forse anche il “pulito” e il “giusto”, ma poi chi glielo dice a quelli di Slow Food?