Si fa presto a dire vino (2): Il vino contadino

di Daniele Cernilli 16/10/12
1899 |
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Si fa presto a dire vino (2): Il vino contadino

Il vino nasce contadino. Nasce dal lavoro dell’uomo, che seleziona le viti e le pianta per ottenerne prima uva, poi vino. Se non ci fosse l’uomo non ci sarebbe vino, insomma, e chi pensasse alla sola azione della natura sarebbe abbastanza fuori strada. A meno che non consideri anche la cultura umana come un portato naturale, nel qual caso tutto tornerebbe. Ma il vino nasce contadino perché anticamente non poteva che essere così. I vini si producevano e si consumavano in massima parte nelle zone dove erano prodotti. Esistevano i commerci, ovviamente, ma rappresentavano eccezioni, non regole. Erano vini sfusi, giovani, erano prodotti quasi tutti in area mediterranea da contadini che li ottenevano in vigneti promiscui, non specializzati, con alberi di gelso o di ulivo che sostenevano le piante, con filari che distavano anche parecchi metri l’uno dall’altro, oppure con vigne ad alberello di origine greca, quelle che restano ancora in Sicilia, nel sud della Francia, in Catalogna e in Andalusia. C’erano anche vini pregiati. Un portato dei commerci di epoca romana, inizialmente. Poi, in periodo medioevale, prevalentemente quelli prodotti dai monaci nelle abbazie, che servivano per dire messa, ma anche per aggiungere un po’ di calorie alla povera dieta che erano costretti a fare.

Se noi oggi pensassimo ad una zona che viene idolatrata come la patria dei migliori vini “contadini moderni” del mondo, probabilmente ci verrebbe subito in mente la Borgogna. Bene, i vini di Borgogna nascono in buona parte dal fatto che in quella regione c’erano famose abbazie, Cluny su tutte, che ebbero il merito di salvare libri e manoscritti, ma anche una tradizione vitivinicola che oggi rappresenta uno dei maggiori patrimoni di cultura materiale della regione. In tempi più recenti, inoltre, la Borgogna si avvalse di una reale riforma agricola che portò molti viticoltori a divenire proprietari dei vigneti, iniziando a produrre vini che ebbero il favore degli appassionati dell’epoca, tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800. I vigneron di Borgogna producevano il loro vino solo con le uve dei vigneti che possedevano. Uve pinot noir e gamay per i rossi, uve chardonnay e aligoté per i bianchi. Usavano piccoli fusti di rovere dei Vosgi, non perché volessero “conciare” i loro vini con il legno, ma perché spesso le botti grandi erano troppo grandi per contenere il vino che producevano, e, d’altra parte, le piece da 225 litri non venivano sostituite molto di frequente, come avveniva altrove. Potremmo perciò sostenere con qualche ragione, che i primi vini contadini “moderni”, sono proprio quelli dei piccoli produttori di Borgogna, ai quali si aggiunsero in seguito quelli di alcune altre aree minori francesi, in Italia delle Langhe, in Germania di zone quali la Mosella, e poche altre. Di sicuro Edoardo Valentini era, e suo figlio Francesco Paolo continua ad essere, produttore di vini contadini.

I punti centrali che caratterizzano i vini contadini sono perciò la loro territorialità estrema, il fatto che siano ottenuti dalle sole uve coltivate dai viticoltori, che i vitigni utilizzati siano tradizionali, che le tecniche viticole ed enologiche non risultino invasive. Da tutto questo partono poi delle ulteriori evoluzioni, nel bene e nel male. La struttura produttiva dei vini contadini, infatti, è fragile ed esposta a molti rischi. I vini contadini inizialmente non erano affatto cari, venivano bevuti da chi non si potava permettere di spendere cifre elevate, perciò l’economia che ne risultava era nei fatti quasi di sussistenza. Una grandinata, una stagione avversa, potevano determinare disastri. Per di più i contadini erano spesso vittime di chi veniva ad acquistare il loro vino, mediatori, commercianti vari, che imponevano il prezzo e che si accaparravano le partite migliori. I vitivinicoltori, del resto, hanno sempre venduto i prodotti migliori e tenuto per sé i peggiori. In Italia il vino è stato quasi solo vino contadino fino agli anni Sessanta, dopodiché ha iniziato a differenziarsi. L’equivalente della Borgogna da noi sono state le Langhe, patria dei migliori fra i vigneron di casa nostra. Soprattutto la zona del Barolo ha visto nascere viticoltori di grande rilievo fin dai primi del Novecento. Le dinastie dei Mascarello, dei Pira, dei Conterno, dei Rinaldi, rappresentano l’aristocrazia contadina di Langa. Ma anche i vignaioli nuovi, quelli che in America chiamarono i Barolo boys, e che rinnovarono lo stile del Barolo cercando di affrancarsi dallo strapotere dei commercianti di vino della zona. Elio Altare, Domenico Clerico, Renato Cigliuti, Roberto Voerzio, solo per citarne alcuni. Di sicuro partirono tutti contadini, alcuni sono rimasti tali, altri iniziarono percorsi che li hanno portati a fare vini più aderenti alle richieste di determinati mercati. Ma di queste cose avremo modo di parlarne più avanti. Più di recente alcuni viticoltori, particolarmente sensibili a temi ambientalistici e di recupero di tecniche viticole ancestrali ed eco-compatibili hanno dato vita a veri e propri movimenti di pensiero. La viticoltura è divenuta biologica, poi biodinamica, ed esiste ormai un nutrito gruppo di produttori e un vasto pubblico di appassionati che praticano e sostengono ciò che rappresenta la naturale evoluzione, che si manifesta talvolta come un recupero, del senso più profondo della territorialità e dell’utilizzo di pratiche non invasive. E questo è un percorso che potrebbe essere l’asse portante del vino contadino prossimo venturo. Stefano Bellotti a Gavi, Josko Gravner nel Collio, Angiolino Maule in Veneto sono probabilmente gli antesignani di tutto questo.





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