Ricordando Bonilli

Sono passati ormai sei anni da quando Stefano Bonilli ci ha lasciato improvvisamente e prematuramente, lasciando un vuoto nel giornalismo enogastronomico italiano.
La sera del 3 agosto del 2014 mancò improvvisamente e inaspettatamente Stefano Bonilli. Sono passati ormai sei anni e voglio continuare a ricordarlo, visto che ormai ben pochi lo fanno. Chi è stato Stefano chi mi legge lo sa bene. Per chi non lo conoscesse dico semplicemente che fu l’artefice, il creatore, del Gambero Rosso. Prima come inserto, poi come supplemento del Manifesto dalla fine del 1986 al 1991, poi come rivista vera e propria dal 1992. La diresse fino all’ottobre del 2008, quando venne ingiustamente licenziato.
Nel frattempo aveva iniziato a pubblicare in rete il Papero Giallo, primo blog enogastronomico italiano, e in seguito la Gazzetta Gastronomica (la pagina Facebook è ancora visibile ma il sito è stato oscurato). Nel mezzo ci sono stati ventidue anni di Gambero, una ventina di edizioni della Guida ai Ristoranti d’Italia, che ha curato personalmente dall’edizione del 1991 e fino a quella del 2009, una produzione di libri sterminata, il Gambero Rosso Channel, primo canale del genere in Italia e secondo nel mondo, che letteralmente s’inventò e diresse per una decina di anni, lanciando personaggi come Bruno Barbieri, Antonino Canavacciuolo, Laura Ravaioli.
Esiste nel nostro mondo del vino e del cibo un prima e un dopo Bonilli, un prima e un dopo quel Gambero Rosso. Un uomo intelligente, curioso, intellettualmente vivace. Uno scopritore di talenti davvero unico e non solo in Italia. A lui va il merito indiscutibile di aver fatto conoscere anche in Italia i grandi cuochi spagnoli, americani, giapponesi e alcuni giovani chef francesi che poi sarebbero divenuti famosissimi. In Italia fu tra i primissimi a rendersi conto del talento di Fulvio Pierangelini, di Massimo Bottura, di Niko Romito, di Gennaro Esposito, e solo per citarne alcuni a braccio.
A lui va il merito di avere realizzato una redazione di giovani talenti dell’enogastronomia, da Marco Bolasco a Fabio Parasecoli, da Raffaella Prandi a Laura Mantovano, da Luciano Del Sette ad Andrea Gabbrielli, da Clara Barra a Marco Sabellico e da Cristina Tiliacos a Mara Nocilla e con la grafica affidata a Susanna Gulinucci, le ricette ad Annalisa Barbagli e la parte dei test comparativi a Cristina Barbagli.
Poi quelli del vino, con i “tre bicchieri”, la collaborazione con Carlo Petrini, Gigi Piumatti e il gruppo di Slow Food, e con il sottoscritto a fare da play maker, con un manipolo di esordienti che all’epoca erano Dario Cappelloni, Riccardo Viscardi, Eleonora Guerini, Antonio Boco, Paolo De Cristofaro e Giuseppe Carrus. Moltissimi gli devono qualcosa, io per primo, perché permise a un sacco di giovani di fare la loro strada, dando loro delle opportunità incredibili. Realizzando quella fucina di talenti che fu il Gambero Rosso sotto la sua direzione, che durò circa ventidue anni. Formidabili, irripetibili e decisivi. E io me li ricordo tutti e bene, il minimo che possa fare è ricordarlo a chi rischia di dimenticarselo. E non aggiungo altro.