Ma sociale no

di Daniele Cernilli 10/11/14
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Ma sociale no

Parlando con Ruenza Santandrea, brillante presidente della Cevico, una delle maggiori cantine cooperative italiane, che ha sede a Lugo, in Romagna, abbiamo scoperto di condividere profondamente un tema che riguarda il mondo del vino e chi di questo scrive. Anche coloro che si rifanno a un mondo collocabile a sinistra, e che quindi dovrebbero avere una particolare attenzione per il sociale, quando si parla di cantine cooperative storcono il naso. Perché? Difficile dirlo. Eppure molte realtà della cooperazione sono ormai ampiamente “presentabili in società”, consentono a tanti piccoli produttori di uva di poter accedere al mercato in modo efficace, e soprattutto queste cantine sono fra quelle che meglio possono seguire dei progetti complessi, compresi quelli legati alla viticoltura sostenibile, perché riescono a controllare la filiera produttiva in modo molto preciso. Certo, ci sono anche molti esempi poco commendevoli, persino fallimentari, dove le sovvenzioni pubbliche che in parte sono alla base di questa attività vengono sprecate o usate malissimo. Ma a fronte di questo ci sono realtà come la Cevico, la Cavit, Mezza Corona, la Rotaliana, la Settesoli, e poi Due Palme, la Cantina di Soave, Moncaro, Santadi, Terre da Vino, la Cantina di Gallura, del Vermentino, quella dei Produttori di Cormons, di Barbaresco, dei Colli Ripani, tutta la fantastica cooperazione altoatesina, le Riunite, la Tollo, Citra, la Castelli di Grevepesa, il Chianti Geografico, la Cantina di Negrar, di Montalcino, la Vecchia Cantina di Montepulciano, quella del Taburno, la Guardiense, la Cardeto, la Monrubio, la Cantina dei Colli Amerini, la Gotto d’Oro, la Coprovi, e tante altre che citando a braccio dimentico, e me ne scuso. In tutto coprono oltre il 40% della produzione vitivinicola nazionale, producono quasi sempre vini corretti, quando non buoni od ottimi, con prezzi molto spesso ragionevoli, che vanno a soddisfare i consumatori che non possono spendere cifre elevate per avere una qualità accettabile nei vini che acquistano, magari al supermercato. In più, delle cantine come quella di Riomaggiore e delle Cinqueterre in genere, o la Crotta di Vegnerons in Valle d’Aosta, hanno anche il merito indiscutibile di difendere il paesaggio, di occuparsi della gestione del territorio, mantenendo in funzione i muretti a secco, evitandone il degrado. Insomma, ci sono tanti aspetti positivi, ma la critica, i giornalisti che si occupano di vino sembrano non rendersene conto. E’ una sorta di “Snob Wine”? Secondo me un po’ sì, soprattutto da parte di chi ritiene di collocarsi politicamente a sinistra per poi cadere inopinatamente in una sorta di atteggiamento “radical chic” da “gauche caviar”. E’ per questo che mi è venuto in mente di creare un Premio per la Cooperazione sulla Guida Essenziale ai Vini d’Italia, dandolo proprio a Ruenza Santandrea. Lei guida una cantina con migliaia di soci, migliaia di ettari vitati, in gran parte a conduzione biologica, e permette di realizzare un reddito agricolo che difende concretamente la viticoltura in Romagna e le consente di esistere garantendo anche la sostenibilità ambientale su vasta scala. Non mi sembra una cosa di poco conto.





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