La lezione di Decanter

So bene che molti fra i nostri lettori sono un po’ scettici riguardo ai concorsi enologici. Molto dipende dal fatto che i migliori produttori sono abbastanza restii a inviare i loro vini in manifestazioni del genere. Hanno già conquistato fama e mercati, non vedono l’utilità di affrontare ulteriori esami e ne vedono invece tutti i rischi. Tutto molto comprensibile. D’altro canto ci sono anche moltissimi, direi la stragrande maggioranza, di altre cantine che al contrario devono conquistarsi visibilità e legittimazione, e quei concorsi internazionali sono un’ottima passerella per poter farsi notare.
Io partecipo, ormai da sei anni, al Decanter World Wine Awards, detto DWWA, e devo dire che tutte le volte che vado devo constatare quanto gli amici e colleghi della rivista inglese Decanter siano efficienti nell’organizzazione e lungimiranti negli scopi. Mettere insieme ad assaggiare wine critic, Master of Wine, importatori, sommelier, commercianti, in modo che si possano confrontare concretamente e che affrontino e discutano insieme temi che vanno al di là del semplice gusto personale, è importantissimo per capire dove va il mondo del vino. Personalmente ho assaggiato con formidabili esperti di mezzo mondo vini veneti, piemontesi e dell’Italia del sud. Ho potuto capire i loro punti di vista, che sono stati sostanzialmente ripresi da un articolo di Jancis Robinson che invitava i produttori italiani a non copiare i francesi e ad utilizzare i vitigni locali.
A me è capitato di assistere a veri entusiasmi per un Fara, per un Grignolino d’Asti, per un Castel del Monte, ben eseguiti tecnicamente e davvero diversi dal mare magnum di omologazione che ancora si trova fra i vini del Nuovo Mondo. L’Italia riesce a esprimere un patrimonio di originalità e di diversità che non ha uguali, e tutto questo appare con grande chiarezza in manifestazioni del genere. Certo, poi tutto questo va realizzato con tecnica adeguata, brett, volatili, ossidazioni sono inconcepibili per la quasi totalità degli assaggiatori, e anche questo va tenuto in considerazione per evitare fughe in avanti. Ma rappresenta anche uno spaccato del mercato che conta.
Tutto comunque è pervaso da un atteggiamento curioso e interessato, da un’attitudine positiva, possibilista nei confronti di vini per loro nuovi, che possono avere un ruolo anche importante, se proposti a prezzi ragionevoli. Tutte cose non troppo difficili da capire, talvolta sorprendenti per la disponibilità con la quale si affrontano vini e tematiche, senza patetiche cadute in atteggiamenti provinciali o localisti, come qualche volta capita di assistere qui da noi, ma con un principio di realtà evidente e condivisibile.
Per questo voglio ringraziare pubblicamente gli amici di Decanter, e in particolare Steven Spurrier, Sarah Kemp e Christelle Guibert che sono stati in concreto gli organizzatori di un concorso che ha valutato 18.000 vini di tutto il mondo e ha visto quasi trecento giudici al lavoro in una location spettacolare come quella del Tobacco Dock di Londra. Sono stati davvero bravissimi.