Immotivati emotivi

di Riccardo Viscardi 26/01/15
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Immotivati emotivi

Ultimamente mi capita spesso di degustare non solo con amici di vecchia data ma anche con alcuni “giovani leoni”. Come sempre, dallo scambio di opinioni e dal confronto emergono nuove idee ed interpretazioni sia di vini che di territori. Purtroppo ho notato, soprattutto nei giovani, un atteggiamento piuttosto chiuso e poco incline all’approfondimento tecnico, un rifiuto del fatto che la tecnica produttiva, sia che riguardi la conduzione della vigna, sia le tecniche fermentative o di affinamento in legno, serve ad esaltare le caratteristiche di un vitigno e di un territorio e non ad omologarlo. Temo sia una questione di non-conoscenza. Molti “giovani leoni”, talvolta emersi grazie ad una schiera di follower raccattati sui vari social network, hanno lacune storiche evidenti che li portano a considerare determinate imprecisioni tecniche dei vini come derivanti dal territorio o anche come una peculiarità di produzione. Un approccio sicuramente emotivo, piuttosto approssimativo e assolutamente non scientifico.

Sebbene siano molte le questioni degustative che vengono “colpite” da questo atteggiamento, mi limiterò a due aspetti olfattivi: le riduzioni eccessive ed i sentori marcatamente evolutivi in vini appena usciti sul mercato (di aspetti gustativi, come la "deriva acidistica", aveva già parlato Daniele Cernilli in un precedente editoriale). Prendiamo ad esempio il territorio di Montalcino, dove il vino subisce una lunga maturazione prima di uscire sul mercato. Per questi “giovani leoni”, talebani dell'emotività, esiste solo una metodologia da seguire per avere un “vero Brunello”, macerazioni lunghe, poco controllo della temperatura e poi botti grandi e talvolta neanche troppo efficienti. Praticamente una visione da primi anni ottanta.

I vini fatti in questo modo spesso si portano dietro alcuni problemi che grazie alla ricerca scientifica ed alcuni produttori sono già stati superati. Le lunghe macerazioni (che fanno anche perdere di colore) senza controllo della temperatura e la ritardata immissione in legno comportano riduzioni importanti a causa delle fecce di cui il sangiovese è grande costruttore: i profumi perdono la loro fragranza e si incupiscono dando inizio ad un processo di invecchiamento precoce. Perdiamo così da subito il bel fruttato di ciliegia che è il tracciante olfattivo del sangiovese. Tralascio il problema dei legni non perfettamente puliti ed ossigenanti, che aggravano la già presente riduzione, o dei legni vecchi, che danno sovente problemi di brett o comunque rilasciano note negative. Senza arrivare a tali eccessi, il precoce invecchiamento del comparto olfattivo rende problematica la riconoscibilità della zona di provenienza.

Usare legni puliti e nuovi favorisce questo aspetto ma alcuni degustatori rigettano come fuorviante ogni leggero sentore speziato dolce non capendo che spesso scompare con qualche anno di bottiglia. Insomma preferiscono le puzze (considerate magari "tipiche") alla speziatura e si perdono la bellissima evoluzione che hanno i vini quando partono fruttati e poi cambiano il loro profilo olfattivo con gli anni, come le rughe che ci accompagnano nel progredire della nostra vita.

Ricordate il film sulla vita di Benjamin Button? mi sconvolgeva vedere un bambino con le rughe mentre arricchiscono di fascino il viso di una persona adulta.





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