Il vino eretico

L’operazione Terregiunte di Vespa e Masi ha scatenato gli anatemi della rete. Ma è davvero il caso di scandalizzarsi per un’operazione di marketing?
La nascita di un vino prodotto in comune da Bruno Vespa e da Sandro Boscaini, patron della Masi, e basato su un blend fra un vino a base di uve primitivo e un altro ottenuto con il classico uvaggio veronese, di corvina, corvinone e quant’altro, ha scatenato fiere polemiche e anatemi degni di miglior causa sulla rete. Preciso che non ho particolare interesse per i vini “apolidi”, che rappresentano semplicemente scelte tecniche e di marketing, ma alzare i toni delineando una sorta di eresia enologica per un’iniziativa del genere mi sembra davvero un’esagerazione.
Intanto non è la prima volta che due produttori di zone diverse “giochino” a realizzare insieme un vino attraverso un taglio fra partite ottenute nelle rispettive aziende. Ricordo a proposito l’ottimo 50&50 di Avignonesi e Capannelle, rispettivamente produttori a Montepulciano e a Gaiole in Chianti. Poi i 5 Autoctoni di Farnese, la Quadratura del Cerchio di Roberto Cipresso, e sono solo quelli che mi vengono in mente senza fare particolari ricerche, perché sono convinto che nel mondo ce ne siano molti altri. Rappresentano iniziative sporadiche, dei divertissement, non certo una minaccia all’ortodossia del sistema delle denominazioni di origine, come si adombra da qualche parte.
Parte della polemica è stata scatenata, per la verità, da un comunicato stampa ingenuo e impreciso, dove si dichiarava che il “taglio” era stato effettuato utilizzando un Amarone e un Primitivo di Manduria, rispettivamente i Costasera di Masi e il Raccontami di Vespa, per ottenere il Terregiunte, questo il nome del vino “eretico”. Un’affermazione che era errata e anche illegale, perché nessuna delle due “basi” aveva ottenuto il riconoscimento di Docg o di Doc attraverso l’esame delle rispettive commissioni d’assaggio e le analisi chimiche di prammatica. I consorzi dell’Amarone e del Primitivo di Manduria hanno perciò protestato perché non sarebbe stato possibile accostare il Terregiunte, che è semplicemente un “vino rosso d’Italia” per denominazione, a produzioni con Doc o Docg molto più prestigiose, almeno a livello legale e formale. Questo perché la legge che regola la materia prevede che non si possano utilizzare nomi di prodotti con denominazioni specifiche, qualora non se ne abbia diritto, non solo in fase di etichettatura, ma anche nelle iniziative promozionali, come è appunto un comunicato stampa. Giusto, perciò. Se esistono regole vanno rispettate.
Tornando a Vespa e a Masi, poi, se c’è un ulteriore retroscena quello sta nel fatto che la vulgata sostiene che, magari in un antico passat, un po’ di Primitivo in qualche Amarone qualche volta ci sia finito. Allora perché non fare una citazione “ufficiale” di un fenomeno, proponendo un vino che non si avvale, e non può avvalersi, di alcuna denominazione, ma che ripercorre, stavolta in modo del tutto limpido e legale, quel tipo di malcostume truffaldino che potrebbe essere avvenuto in passato? Uscendo, tra l’altro, dall’ipocrisia del non detto ma del “tutti sanno che..”?
È ovvio che si tratta di un’operazione d’immagine e di marketing, dedicata oltretutto e in prevalenza a mercati non italiani, a mio parere, ma non trovo nulla di scandaloso in questo. Così come resto convinto che la maggior parte delle critiche e delle accuse di “eresia enologica” arrivi da parte di chi vede con antipatia un personaggio come Bruno Vespa, che fa altro nella vita, e che suscita opposte reazioni nel pubblico. Se un vino del genere l’avessero fatto, che so, Gianfranco Fino con un paio di barrique di Es e Celestino Gaspari di Zymé con altrettanto La Mattonara (i due sono fra l’altro amicissimi e per scherzo a volte lo hanno anche immaginato), non credo che le reazioni sarebbero state così negative.
L’invito che mi permetto di fare, perciò, è quello di ragionare e di non farsi travolgere dall’emotività e dalla voglia di scandalizzarsi per una sciocchezza. Il Terregiunte, blend dell’annata 2016 tra quelli che sarebbero potuti diventare il Costasera di Masi e il Raccontami di Vespa, è “tirato” in 13.000 bottiglie e in 500 magnum. Cento ettolitri in tutto, la produzione di un paio di ettari di vigneto. Fatto salvo che quel comunicato stampa è sbagliato e va ritirato e corretto, non mi pare che tutto ciò rappresenti una minaccia e neanche un’operazione commerciale determinante né per la cantina di Vespa nè, a maggior ragione, per la Masi, che ha un’immagine internazionale di primo piano. Però ha fatto parlare i giornali, le televisioni e la rete. In un mondo mediatico è quello che conta, e le accuse di essere un “vino eretico” fanno anch’esse parte del gioco.