Il vino come testimonianza

di Daniele Cernilli 26/10/20
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il vino come testimonianza

Sempre più da critico e da degustatore militante mi sto trasformando in un testimone della storia recente della vitienologia italiana.

Tra chi si occupa o si è occupato di scrivere di vino, il sottoscritto è stato il più giovane della vecchia generazione e ora sono tra i decani di questo mestiere. Iniziai all’epoca d’oro di Luigi Veronelli, quando i critici e i commentatori oltre a lui erano Antonio Piccinardi, Cesare Pillon, Alberto Zaccone, Gilberto Arru, Davide Paolini e Stefano Milioni. A parlare di cibo e di ricette c’era Vincenzo Buonassisi, di ristoranti Edoardo Raspelli. Tutti pionieri della letteratura enogastronomica moderna. Tutti testimoni di un periodo che ha posto le basi per l’esplosione dell’interesse per cibi e vini al quale abbiamo assistito negli anni successivi, più o meno dalla fine degli anni Ottanta in poi. 

Ora esistono migliaia di blog, di pubblicazioni on line, almeno sei o sette guide dei vini per quanto riguarda l’argomento enologico. E non parliamo della vera inflazione di programmi televisivi di ricette, di cucina in genere, con successi anche significativi. Però il presente così ricco e articolato secondo me ci fa perdere un po’ di profondità e molti nomi, lo stesso Veronelli che fu un vero gigante ai suoi tempi, cadono nel dimenticatoio. 

Accade per grandi cuochi e per fondamentali produttori di vino. Mi chiedo chi si ricorda oggi di Nino Bergese, di Angelo Paracucchi, dei Cantarelli. E chi ha voglia di raccontare ai giovani appassionati chi erano Mario Schiopetto o Sergio Manetti. Cosa hanno fatto, cosa dicevano, quali erano i loro punti di vista sulla vitienologia. Come nacque veramente il Sassicaia, con Mario Incisa della Rocchetta che sosteneva posizioni che oggi sarebbero molto vicine a quelle dei produttori cosiddetti naturali, come anche Alberico Boncompagni o Alceo di Napoli, i cui eredi hanno peraltro abbracciato la filosofia biodinamica. E che Paola Di Mauro a Colle Picchioni alle porte di Roma faceva degli orange wines fin dal 1974, e io ne portai personalmente una bottiglia a Josko Gravner nel 1981, forse, cosa della quale magari neanche si ricorderà, ma che potrebbe essere stato uno stimolo inconscio per delle scelte che poi fece magistralmente molti anni dopo. Fantavino? Chissà! 

Tornando al nocciolo della questione quello che volevo dire è che sempre più da critico e da degustatore militante mi sto trasformando in un testimone della storia recente della vitienologia italiana. Ho conosciuto tutti i grandi maestri di vino e di vigna, ho parlato con loro, qualche volta ci ho anche litigato, avendo quasi sempre torto, spinto dagli estremismi giovanili di quando avevo meno di trent’anni. Molti di loro non ci sono più, mi mancano i consigli di un paterno Giacomo Tachis, le litigate e la stima reciproca che avevamo con Giorgio Grai, l’amicizia profonda con Gianni Masciarelli, la soggezione che provavo nei confronti di Schiopetto e di Edoardo Valentini. Non so se questi aspetti, che vanno al di là della bontà di un vino, di un punteggio, di una classifica, possono ancora interessare qualcuno. Di certo so che condividerle mi sembra quasi un dovere per ricordare persone di grande importanza nel nostro mondo, e che il ruolo di testimone più che di giudice mi piace sempre di più.





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