E’ finita la pacchia?

di Daniele Cernilli 27/06/16
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E’ finita la pacchia?

Il Corriere Vinicolo è una pubblicazione molto vicina all’Unione Italiana Vini, la maggiore fra le associazioni di produttori, e rappresenta per il mondo enologico ciò che Il Sole 24 Ore o Italia Oggi sono per quello finanziario. Viene letto prevalentemente da addetti ai lavori interessati alle sorti e alla politica legata ai vini d’Italia e spesso dà notizie interessanti e talvolta preoccupanti.
Una di queste ultime è uscita proprio qualche giorno fa, e parla di una flessione dell’export del 4,9%  in volume rilevata nello scorso mese di maggio su base annua. Non è una bella notizia, soprattutto se confrontata con i dati di Paesi in diretta concorrenza con noi, e che vedono la Spagna in incremento dell’1,2%, l’Australia del 2,7% e la Francia dello 0,4%. Per non parlare di Cile (+4,7%) e di Nuova Zelanda (+9,8%).
Da cosa dipende tutto questo? Probabilmente da diversi fattori. L’aumento dei prezzi è uno, la difficoltà che molti consumatori trovano nell’affrontare la complessità del vino italiano è un altro. Anche la grande parcellizzazione della nostra produzione, polverizzata in decine di migliaia di aziende, con una proprietà media di 1,2 ettari di vigneto a testa (la metà di quanto accade in Francia, ndr), rende difficile la possibilità per molte di esse di arrivare ad esportare soprattutto nei Paesi del Nuovo Mondo. Insomma, dopo alcuni anni di vacche grasse assistiamo a un’inversione di tendenza preoccupante della quale i nostri politici, che si riempiono la bocca di “eccellenze” senza sapere bene di cosa parlano, non ci dicono nulla, e, sospetto, non sappiano un granché.
Cosa fare allora? La prima sarebbe quella di investire di più nel mondo dell’“educational”. In parole povere, andare a spiegare con corsi, conferenze, lezioni e degustazioni guidate, materiali didattici, in cosa consiste la grande complessità del vino italiano. Ricordo appena che una trentina di anni fa imparai moltissimo sui vini di Francia consultando le “fiches” dedicate alle varie zone di produzione che la Sopexa, l’ente preposto alla promozione dei vini, distribuiva con grande abbondanza. Persino nei supermercati si trovavano, e chiunque poteva prendersele. E’ solo un esempio, ovviamente, e neanche minimamente decisivo. Però, tranne che in casi sporadici, come quello della collaborazione dell’Onav con l’Università di Pechino in questo senso, non abbondano per ora le iniziative efficaci di questo tipo. Né da parte del Ministero, né da parte dell’Ice, e solo il Vinitaly ha per ora un progetto organico in fieri.
Bisogna informare, insomma, facendo qualcosa che vada oltre le semplici iniziative commerciali, utili ma non esclusive, perché i primi segni che la pacchia sta finendo sono tutti davanti ai nostri occhi.





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