Critici e assaggiatori
Quando si assaggiano migliaia di vini in tempi relativamente brevi, come accade soprattutto in determinati periodi dell'anno a chi - come me - fa il giornalista degustatore, non è possibile non farsi alcune domande sul senso del lavoro che via via viene portato a termine. Nella fattispecie su cosa significhi essere dei critici di vino e degli assaggiatori, e se ci sia una differenza nei due ruoli.
I vecchi studi di filosofia possono senz’altro aiutare, soprattutto se ci si ricorda di quella parte iniziale della Fenomenologia dello Spirito di Hegel nel quale il padre dell’idealismo affronta proprio il tema della cosiddetta “certezza sensibile”. Hegel conclude che tutta la serie delle sensazioni immediate che lo Spirito prova, non possono che essere in relazione con un tipo di consapevolezza più elevata, e che quella che sembra la conoscenza più ricca, in realtà si rivela come la più povera, perché non crea una gerarchia di elementi, e le varie sensazioni restano come un’immensa serie di oggetti senza distinzione di valore.
Cosa c’entra tutto questo con gli assaggi di vino? C’entra proprio perché fa capire come senza un’idea uniformante, senza un convincimento tecnico, ma anche estetico, senza una conoscenza profonda della materia, che trascende persino il singolo assaggio, non è possibile distinguere, cioè criticare. E qui ci si divide in scuole di pensiero, in stili di assaggio, che dipendono dalle diverse formazioni, non essendo noi lo Spirito Assouto di Hegel, ma eventualmente solo dei suoi “gruppi di pensieri”, come definiva gli esseri umani don Benedetto Croce.
Dirò di più. A mio avviso il semplice assaggio organolettico non basta per giudicare un vino. Perché ogni vino non è solo qualcosa da bere e non è solo il piacere immediato che può dare. E’ anche la sua storia, i suoi artefici, il luogo da cui proviene, il suo valore simbolico ed evocativo. Tutte cose che un critico ha il dovere di cogliere e che costituiscono una forma più alta di edonismo, che non è solo sensoriale, ma è anche intellettuale e culturale. In questo senso chi si ferma al semplice assaggio si perde il meglio della faccenda e riduce tutto a un semplice esercizio di abilità degustativa, a un “mi piace o non mi piace” che a me appare decisamente riduttivo. Il fascino del vino è altro, è fatto di racconti di persone e di luoghi, oltre che di sensazioni. In questo il mai abbastanza rimpianto Gino Veronelli è stato maestro inarrivabile. E mai come in questi momenti è bene ricordarlo.