Al servizio del pubblico

Sono stato di recente invitato da Anna Scafuri, giornalista della redazione economica del Tg1, a partecipare alla video chat che quel telegiornale dedica giornalmente a vari argomenti. “Non ti sorprendere se ti verranno fate domande un po’ ingenue, noi facciamo televisione generalista, quindi i nostri telespettatori sono persone normali, non necessariamente esperti della materia”, quasi si giustificava Anna.
Sarà che ho fatto il professore alle medie, sarà che penso che il ruolo di un critico e di un esperto sia soprattutto quello di farsi capire da tutti, quasi ho tirato un sospiro di sollievo. “Finalmente ho un pubblico di persone alle quali dare dei consigli comprensibili e possibilmente utili” mi sono detto. E cosìè stato. Quasi quaranta minuti di chat, un sacco di domande, anche ingenue, ma spesso sorprendentemente intelligenti, frutto di curiosità e di buon senso.
Non sarà che, a forza di parlare sempre tra gente comunque esperta e appassionata, un buon bagno nella “normalità” sia ogni tanto necessario? Sono convinto che il ruolo di chi sa, sia quello di informare chi sa di meno ed è incuriosito, o vuole un consiglio spassionato. Ovviamente, in questi casi, la prima cosa da fare è quella di farsi capire, di usare un linguaggio comprensibile e di spiegare gli eventuali termini tecnici che si usano. Bisogna mettersi al servizio del pubblico, insomma, e non dimostrare narcisisticamente che si è“un sacco esperti”, cosa che è abbastanza data per scontata se ci si mette in cattedra, salvo prova contraria, ovviamente.
Scelta del linguaggio, disponibilità al confronto, una buona dose di umiltà (siamo esperti di vino, non inventori della penicillina, in fin dei conti), penso siano elementi necessari per chi fa il nostro lavoro, che non deve fermarsi a discutere con la comunità dei competenti ma, nei limiti del possibile, andare a dialogare con un pubblico più vasto, con la voglia e la convinzione che mettersi al servizio di molte persone sia un compito di decisiva importanza.