A che cosa servono le barrique?

di Daniele Cernilli 02/07/18
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Produzione Barrique vino

I più grandi vini del mondo maturano in barrique, ma in Italia è in atto una demonizzazione “di principio” di queste piccole botti, senza entrare nel merito.

Come molti di voi sanno, le barrique sono delle piccole botti da 225 litri realizzate con il rovere (in genere francese, proveniente da foreste del Massiccio Centrale o dei Vosgi). Le doghe con le quali sono fatte vengono piegate “tostandole” internamente a contatto con il fuoco, e non utilizzando il vapore come avviene per le botti grandi, se non in casi sporadici. Le stesse doghe, più sottili di quelle di altri contenitori, sono ottenute quasi sempre spaccando il legno con asce, e non semplicemente segandolo. Questo comporta delle piccole imperfezioni che permettono un piccolissimo contatto fra il vino e l’aria, cosa che fa polimerizzare i polifenoli rendendo i vini più stabili come colore, più resistenti all’ossidazione e più morbidi al palato. In più l’alcol dei vari vini estrae dal legno elementi quale la lignina, apportando sapori e profumi che poi vanno a rendere più complesso il patrimonio organolettico.

Questo è, più o meno, il senso dell’uso dei legni piccoli.

Poi ci sono migliaia di varianti, molto dipende dal tipo di uva usato, dal suo contenuto polifenolico ed estrattivo, dall’acidità, tutti fattori che interagiscono e che creano situazioni molto diverse. Ad esempio, un conto è usare barrique per i vini rossi, che ci entrano dopo la fermentazione alcolica, un conto è usarle per i vini bianchi, che fermentano in legno e non fanno solo la malolattica. Nel secondo caso il legno “cede” meno al vino e l’ambiente è più riducente, perché le parti solide del mosto vanno letteralmente a tappare i pori del legno stesso limitando l’estrazione di sostanze estranee all’uva.

Detta così sembrerebbe tutto chiaro e tutto giusto. I francesi chiamano il passaggio in barrique “elevazione”, proprio per sottolinearne gli aspetti positivi. Sta di fatto che tutti i grandi vini di Borgogna, di Bordeaux e la massima parte dei migliori vini del Nuovo Mondo sono “elevati” in piccoli fusti. In più le barrique vanno sostituite di frequente, è sconsigliabile usarle per più di tre o quattro volte, e questo consente di avere sempre legni nuovi e in grado di interagire con il vino, senza il rischio di diventare ambienti favorevoli, ad esempio, alla formazione di brettanomyces, orribili funghetti che provocano odori sgradevoli.

A fronte di tutto questo, soprattutto in Italia, è in atto da anni un processo di demonizzazione delle barrique, che sono essenzialmente degli strumenti di cantina e che possono essere usate bene o male. Bene se i vini sono adatti all’impatto con il legno nuovo, hanno carattere e peso estrattivo, e interagiscono positivamente al contatto con il legno. Male se ne vengono contaminati in modo eccessivo, diventano “i vini del falegname”, come li definì anni fa il giornalista Davide Paolini, e vogliono solo scimmiottare lo stile di vini prestigiosi e costosi senza averne le qualità reali.

Ci sono dei precisi parametri analitici per capire se un vino è adatto ad essere maturato in barrique e la cosa si può facilmente capire, avendo un minimo di conoscenze. Ci sono tipologie di uve, come il cabernet, il merlot, lo chardonnay, ma anche il sagrantino o certi aglianico, adatte allo scopo.

Demonizzare la barrique, secondo me, fa il paio con la demonizzazione di una padella o di una casseruola. Se bruciamo il ragù non è colpa loro, forse è colpa del fuoco troppo alto o della scarsa attenzione del cuoco…





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