2019: l’anno che verrà

Il vero augurio è che migliorino consapevolezza e conoscenza del mondo del vino da parte dei nostri rappresentanti politici, ma anche di molti semplici cittadini.
Mi sbaglierò, ma credo proprio che il prossimo anno ce lo ricorderemo per molto tempo. Stanno arrivando al pettine molti nodi, ci sarà la Brexit; le politiche sovraniste, e tendenzialmente protezionistiche, sono dilaganti, e anche solo questi aspetti non potranno che incidere parecchio anche nel nostro “piccolo mondo antico” del vino italiano. Perché noi siamo un Paese che esporta quasi il 50% del vino prodotto, e lo esporta principalmente negli Usa, in Germania e in Gran Bretagna, che sono proprio le nazioni più coinvolte dai cambiamenti che si profilano all’orizzonte.
Si parla tanto di Cina, ma ricordo sommessamente che appena il 2% dell’export italiano va a finire lì. Nulla o quasi, perciò, con buona pace di chi si riempie la bocca con cose che non conosce, evidentemente. Certo, siamo in aumento, ma le cifre assolute sono ancora ben lontane da quelle dei Paesi che ho citato prima e che insieme rappresentano più della metà del fatturato dell’esportazione per noi. E qualcosa non sta funzionando già adesso. Negli Usa flettiamo, in Gran Bretagna se non ci fosse il Prosecco sarebbero guai, in Germania gli aspetti legati sempre più ai prezzi e sempre meno a marchi e denominazioni sembrano inarrestabili.
Contemporaneamente i nuovi mercati, l’Estremo Oriente, in particolare, non decollano, e la Russia paga ancora le sanzioni commerciali che l’Occidente compatto le ha dichiarato alcuni anni or sono. Il rublo si è svalutato parecchio e la capacità di acquisto di una larga parte dei possibili consumatori di vino di qualità è andata a farsi benedire.
Lo so, è un’analisi fatta a spanne e non ho la pretesa che sia presa alla lettera. Però, andando molto in giro, certe cose mi sembrano evidenti, anche se più intuitivamente che analiticamente. E se c’è un limite del nostro comparto vitivinicolo è proprio quello di essere forte nei mercati “maturi”, molto meno in quelli emergenti.
Parliamo spesso dell’esigenza di “internazionalizzare”, ma la cosa resta in gran parte sospesa fra retorica e teoria. Siamo poco sostenuti, almeno nel mondo del vino, da iniziative di carattere pubblico e basterebbe vedere cosa fa il governo francese, ad esempio, per misurare tutta l’inefficacia di casa nostra. È vero, forse ora c’è un Ministro delle Politiche Agricole che prova a fare il suo lavoro e non usa l’agricoltura come trampolino di lancio per eventuali future carriere politiche in altri settori, ma c’è da poco, qualcosa ha fatto, moltissimo ci sarebbe da fare. E questo lo dico non certo per dimostrare una mia vicinanza politica al suo partito, cosa che non voglio affatto fare, come non ho mai fatto per nessuna parte politica, ma per dei dati di fatto.
Tornando a noi, credo che dovrebbe essere molto più chiaro a tutti che se parliamo di portare nel mondo il made in Italy alimentare, il vino è una vera chiave di volta. È l’ambasciatore perfetto del nostro Paese. Rappresenta territori, racconta storie di luoghi e di persone, può essere molto buono, viaggia facilmente protetto da vetro e da sughero, in alcuni caso può migliorare nel tempo. Può accompagnare quasi tutti i cibi del mondo, è uno dei capisaldi del nostro stile di vita, che, nonostante quello che si creda qui da noi, è molto più apprezzato di quanto possiamo immaginare in giro per il mondo. Non sostenerlo adeguatamente è semplicemente miope.
Ecco, nell’anno che verrà, a fronte dei possibili problemi che ci troveremo quasi sicuramente a dovere affrontare, mi piacerebbe che migliorassero consapevolezza e conoscenza del mondo del vino da parte dei nostri rappresentanti politici, ma anche di molti semplici cittadini. Che l’argomento vino possa entrare a far parte dei programmi di geografia economica nelle scuole, che il turismo del vino sia sempre più praticato, che ci sia un po’ di orgoglio da parte di tutti per qualcosa che porta il nome dell’Italia in giro per il mondo, con dignità e qualche volta con prestigio. Non è una cosa da poco.