Gaia & Rey, ovviamente ottimo

Lo Chardonnay di Angelo Gaja è da manuale anche nell’annata 2015, bevuta fin troppo presto ma già grandissima.
Che Angelo Gaja produca grandissimi vini è risaputo in tutto il mondo. Per questo non dovremmo stupirci nell’assaggiare un suo ennesimo capolavoro. Spesso però si parla dei suoi grandi vini rossi, dei suoi Barbaresco e questo chardonnay passa in secondo piano. È una cosa un po’ voluta per scelta aziendale: è un vino che per essere apprezzato come dovrebbe ha bisogno di affinare a lungo in bottiglia non mesi, ma anni.
Per questo non ne inviano mai alle Guide i campioni per gli annuali assaggi e non lo si trova mai in degustazione in giro. Insomma se vuoi provarlo devi comprarlo e non è propriamente il simbolo dell’economicità. Ne ho bevute diverse annate, tutte con qualche anno sulle spalle, la più buona fra queste fu una meravigliosa magnum del 1990 bevuta a fine 2011, quindi di 21 anni; ecco, oggi colmo questa lacuna, valuto un Gaja & Rey ancora in fasce.
Già dal nome si capisce quanto Angelo ci tenga: è dedicato infatti alla primogenita Gaia ed a sua nonna, Clotilde Rey, che tanto spesso torna nei suoi racconti come figura centrale della propria formazione. Per farlo, cura in maniera maniacale le proprie vigne e in cantina troviamo solo i legni migliori, pulizia nei minimi dettagli e un’attenzione generale a ogni minimo particolare. Nulla deve sfuggire e nulla sfuggirà.
Il primo vigneto vide la luce nel 1979, a Treiso, in un terreno che aiuta benissimo a preservare l’acidità del vino. Poi, dieci anni dopo, fu piantato un nuovo vigneto a Serralunga. Terreno che secondo Angelo aiuta il vino ancor meglio di quello di Treiso. Viene prodotto in 19.300 bottiglie, e matura in botti di rovere.
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