La Schiava altoatesina. Un vino da difendere, forse da salvare

La Schiava/Vernatsch avrebbe tutto per essere di moda ma invece soffre di una certa disaffezione da parte dei consumatori italiani.
La Schiava, o Vernatsch secondo la dizione tedesca, rappresenta un piccolo mistero nel mondo del vino italiano. Avrebbe dalla sua tutte le caratteristiche per ottenere un clamoroso successo commerciale: proviene da una delle zone vinicole più di successo da diversi anni, è prodotta da uno dei tanto celebrati vitigni autoctoni tra l’altro declinato in varie tipologie con precise caratteristiche (Lago di Caldaro, Schiava, Meranese, Santa Maddalena), ha un profilo stilistico che incontra il gusto moderno, è molto piacevole e di facile beva, ha relativamente poco alcool, si può abbinare a moltissimi piatti e in estate di può (si deve) bere fresco, ha un rapporto qualità/prezzo clamorosamente favorevole e ultimo, ma non meno importante, una certa attenzione dalla critica più puntuale.
Eppure se parlate con i produttori altoatesini, nella maggior parte dei casi, è tutto un lamento sulle difficoltà di vendere questo vino.
Piccola storia della Schiava. Le prime fonti documentali sono relative al tardo Medioevo in cui si parlava di questo vino che veniva bevuto dai contadini (gli aristocratici bevevano il più corposo Lagrein) e che con il passare del tempo ha conquistato una posizione di assoluto predominio fino agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, quando grazie alla richiesta dei mercati tedesco e svizzero raggiunse il 70% della superficie vitata altoatesina.
Da quel momento in poi un inarrestabile declino fino ad oggi dove su 5.393 ettari quelli a schiava si sono ridotti a 798 in continuo calo a vantaggio delle uve a bacca bianca. I motivi di questa perdita di appeal della schiava non mancano: il prezzo delle uve poco remunerativo, un’immagine ancora in parte legata a quella di un vino rustico e troppo semplice, ma soprattutto la mancanza di attenzione - salvo qualche eccezione lodevole e di successo - da parte di tanti operatori del settore, dai produttori stessi ai ristoratori e agli enotecari che fanno poco o nulla per promuovere questo vino.
C’è naturalmente uno zoccolo duro “resistente” a partire dagli organizzatori del concorso Vernatsch Cup che quest’anno ha raggiunto la sua quindicesima edizione, ad alcuni produttori che ne hanno fatto un vino di riferimento della propria gamma, a giornalisti altoatesini come Herbert Taschler che a ottobre uscirà con un suo ponderoso volume (purtroppo solo in tedesco) dedicato alla Schiava. Da accanito difensore (e bevitore) della Schiava non mi rassegno all’ineluttabilità di questo processo e quindi ecco per voi una bella sfilza di grandi vini a base schiava. Da bere anche in questi afose giornate di luglio, dopo aver messo la bottiglia rigorosamente in fresco.
- Waldgries AA Santa Maddalena Classico Antheos 2017, 95/100 - € 21
- Erbhof Unterganzner AA Santa Maddalena Classico 2016, 94/100 - € 25
- Cantina Girlan AA Schiava Gschleier-Alte Reben 2016, 93/100 - € 15
- Gumphof AA Schiava Mediaevum 2017, 93/100 - € 12
- Pfannenstielhof AA Santa Maddalena Classico 2017, 93/100 - € 14
- Wassererhof AA Santa Maddalena Classico 2017, 93/100 - € 12
- Cantina di Bolzano AA Santa Maddalena Classico Huck am Bach 2017, 93/100 - € 15
- Cantina di Merano AA Meranese Schickenburg 2017, 93/100 - € 12
- Castel Sallegg AA Lago di Caldaro Classico Superiore Bischofsleiten 2017, 92/100 - € 10,50
- Cantina Cortaccia AA Schiava Grigia 2017, 92/100 - € 10
- Cantina di Caldaro AA Lago di Caldaro Classico Superiore Quintessenz 2017, 92/100 - € 12
- Malojer AA Santa Maddalena Loamer 2017, 91/100 - € 12
- St. Quirinus AA Lago di Caldaro Classico Superiore 2017, 91/100 - € 15
- Nals Margreid AA Schiava Galea 2017, 91/100 - € 12
- Glogglhof AA Santa Maddalena Classico Vigna Rondell 2017. 91/100 - € 14
- Seeperle AA Lago di Caldaro Classico Superiore Waschecht 2017, 90/100 - € 10
- Klosterhof AA Lago di Caldaro Classico Superiore Plantaditsch 2016, 89/100 - € 15