Continuavano a chiamarlo Tocai

È dalla fine del 2007 che il Tocai Friulano non si può più chiamare così. L’uva sì, almeno quella, ma il vino non più, perché i produttori di Tokaji ungherese, vino diverso e del tutto distinguibile, hanno però vinto la loro causa contro di noi. Nelle denominazioni europee viene difesa l’origine, non l’uva, e mentre Tokaj è un luogo, il tocai friulano è solo una tipologia di uva. Perciò hanno vinto loro. Nessuno però potrà impedirmi di continuare a chiamarlo così e credo che la stessa cosa accada a molti produttori e a molti appassionati. Non ce la facciamo proprio a chiamarlo solo Friulano. Certo, in etichetta, persino negli articoli che si scrivono è necessario denominarlo come Friulano, ma in cuor nostro le cose stanno in modo diverso, il Tocai resta Tocai.
Era molto evidente l’altro giorno all’enoteca Il Goccetto di Roma. “È arrivato il Tocai di Schiopetto del 2015” ha detto a me e ad altri clienti Sergio Ceccarelli, proprietario del locale. Tocai, non Friulano. Così come Tocai rimane quello di Edi Keber, che è vero, lo chiama Collio Bianco perché ci mette il 5 o il 10% di qualcosa di altro. Ma il colore, il profumo e il sapore restano quelli di un grande Tocai, non scherziamo. E Tocai restano quelli di Toròs, di Raccaro, di Colle Duga e di Sandro Princic, ottenuti da vigneti che vanno da Brazzano a Pradis, e che hanno caratteristiche, declinazioni differenti, come un Barolo della Bussia e uno della Vigna Rionda, o come uno Chambertin e un Richebourg. Perché i grandi vini, e solo loro, sono capaci di sfaccettature, di differenze, magari minuscole, ma che li rendono riconoscibili e inconfondibili.
Come loro il Tocai “sente” il territorio. Può essere diverso. Possente, quasi amarognolo tra Zegla e Plessiva, più dolce a Brazzano, più elegante a Pradis e soprattutto a Capriva, quasi sottile a Dolegna, per restare nel Collio. E nei Colli Orientali è quasi la stessa cosa, corposo a Manzano e a Buttrio, quasi “sauvignoneggiante” a Cividale. In un caleidoscopio di sensazioni, di profumi, che vanno dalla pesca alla mandorla, fino a note quasi agrumate, di cedro, nelle zone più fresche. E tutto in una ventina di chilometri, tra le aree quasi pedemontane e quelle che vanno a sfiorare il mare Adriatico.
Nulla a che vedere con le vigne di Furmint (un nome che somiglia a Formentini, non trovate?) che si trovano nel nord est della vasta pianura appena ondulata dell’Ungheria nord-orientale. Ma non è bastato per difenderne il nome. Non è bastato che fosse prodotto da un secolo almeno, che fosse diverso, che fosse assolutamente friulano. Un’assonanza, una remota possibilità di confusione, forse una difesa un po’ blanda, hanno contribuito a fargli perdere il nome. Oggi, e da ormai otto anni, è Friulano, non più Tocai Friulano. Evoca lo stesso territori e tradizioni. Ma per me e per chi lo ama veramente la tentazione di chiamarlo ancora Tocai c’è tutta, e non sarà facile rinunciarvi. Poi lo diremo solo tra di noi, quasi a mantenere un segreto di tradizione orale, non scritta, non legale, non approvata da questo o da quell’organismo di controllo dell’Unione Europea. Ma con l’orgoglio di ricordare e rivendicare, magari solo in cuor nostro.
E questo, per me, è assolutamente irrinunciabile.