Agrapart e la Cuvée Minéral da vecchie vigne

In Champagne, il termine minerale compare per asserire l'origine di vini particolarmente tesi e affilati e dotati di sapidità o sfumature iodate che possano avere suggestioni gessose.
La vexata quaestio della mineralità nel vino non pare destinata ad acquietarsi almeno a breve, perché da parola sconosciuta ed enigmatica ha assunto un ruolo di mantra da intercalare per sottolineare quella che potrebbe definirsi una somma di elementi speciali e non facilmente definibili capaci di rendere particolare un vino. È proprio per il potere immaginifico del termine mineralità che si può notare una tendenza ad usarlo sempre più di frequente, anche a proposito volendo interpretarlo nel suo senso ampio, ma sempre più lontano dal luogo e dal momento in cui ha avuto origine. Non ci sono certezze su chi l’abbia usata per la prima volta riferita ad un vino ma di certo la Champagne è la zona dove viene utilizzata più spesso per via del carattere peculiare delle bollicine della regione. Il termine mineralità compare quindi per asserire l'origine di vini particolarmente tesi e affilati e dotati di sapidità o sfumature iodate che possano avere suggestioni gessose, e nella maggior parte dei casi porta con sé indicazioni territoriali sui villaggi di origine delle uve, da vigne che possono vantare la presenza di suoli caratterizzati dalla craie, ovvero una pietra porosa ricca di granuli di calcite con micro-organismi marini di origine belemnitica e marne calcaree. Sono i produttori stessi della Champagne a utilizzare "mineralità" come descrittore, e nonostante non sembra esserci scampo per definire il termine, l’esperienza ci insegna che la parola mineralità viene evocata quando non si hanno riferimenti aromatici collaudati come ad esempio le famiglie storiche di floreale, fruttato, speziato o (nel caso dei metodo classico) le note di lievito e crosta di pane o le terziarizzazioni. Di certo non era parola comune nel 1894 quando Arthur Agrapart fondò ad Avize la Maison di famiglia e forse nemmeno quando suo figlio Pierre seppe svilupparla in maniera oculata e costante negli anni ’50 e ’60 portandola gradualmente ai 10 ettari di vigna attuali, quasi tutti Grand Cru.
In Italia conosciamo la Maison solo da pochi anni, grazie al lavoro dei nipoti, ma è stato in particolare Pascal a dare uno stile riconoscibile alle vigne situate tra Avize, Oger, Cramant e Oiry per un totale di 62 parcelle con una età media tra i 30 e i 40 anni, poggiati su craie e gesso. Dalle vigne vecchie con più di 65 anni nasce uno champagne millesimato di rara intensità, che Pascal ha battezzato col nome di Minéral, sottolineando di sentire in esso una dominante “mineralità”, decodificata in tanta sapidità, note gessose e di petricore (l’odore della polvere bagnata che sentiamo sui sassi dopo un acquazzone) ma soprattutto una nota iodata nel finale di bocca. La coltivazione delle uve di Agrapart non è certificata biologica o biodinamica ma il collegamento con il terroir e il suolo è diretto e immediato in una armonia che, come Pascal ama ripetere, deve essere continuamente rafforzata attraverso la lavorazione della terra per favorire la radicazione e la vita microbica del terreno con compost.
Lo champagne Minéral ha avuto fin da principio un grande successo ed è tuttoggi un millesimato importante ottenuto da Chardonnay di vecchie vigne di Avize e Cramant, due Grand Cru su terreno calcareo (di quelli che spesso colleghiamo alle note gessose e di polvere bagnata). E a voler ben vedere, viste le tendenze dei consumi di Champagne, il suo nome è stato sicuramente determinante nel contribuire tra il pubblico a definirne l'identità, seppure il vino in sé sia meno affilato, teso e preciso di quanto il suo nome stesso lo abbia connotato.
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