La Collezione biodiversità di Claudio Quarta

di Annalucia Galeone 17/06/20
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Tenute Emera sviluppo

La formula con cui Claudio Quarta guida la sua azienda è: sviluppo sostenibile + nuova conoscenza = sviluppo incrementabile.

“È dovere di ogni generazione generare conoscenza a vantaggio delle future” è scritto all'ingresso del vigneto della biodiversità nella Tenuta Eméra a Lizzano (Ta). Nel 2007, il titolare Claudio Quarta, in collaborazione con la facoltà di Agraria di Milano e il bioparco dell'Insubria, ha avviato il progetto “Collezione biodiversità” per preservare una fonte unica di biodiversità e continuare a studiare le caratteristiche e il potenziale qualitativo dei vitigni. In tre anni sono state piantate sei repliche di oltre 500 varietà minori provenienti dal bacino del Mediterraneo, è probabilmente la superficie dedicata più ampia al mondo. 

Dal 2014 viene condotto uno screening mediante microfermentazione in base al profilo aromatico, concentrazione zuccherina, acidità e alla loro eventuale resistenza alle infezioni. Claudio Quarta, laureato in biologia e specializzato in genetica medica, è stato un ricercatore e imprenditore di successo, fondatore di una società di biotecnologie farmaceutica quotata al Nasdaq di New York e al Nuovo Mercato Italiano di Milano. Nel 1995, all'apice della carriera, la svolta: abbandona il camice, il consiglio di amministrazione, gli USA e torna in Italia per concretizzare il sogno riservato alla maturità, diventare vignaiolo

Per coronarlo costruisce oltre a Tenuta Eméra altre due cantine Moros a Guagnano (Le), e Sanpaolo a Torrioni (Av), la produzione totale ammonta oggi a 670 mila bottiglie. Sono state impiantate oltre a uve autoctone tipologie internazionali come syrah, merlot, cabernet sauvignon e chardonnay, seguendo un rigoroso schema di microzonazione. Tre diversi territori sono stati scelti per perseguire un unico obiettivo, produrre vini capaci di raccontare un sud che emoziona interpretando tradizione e modernità con l'occhio critico del rigore scientifico. Nell'avventura lo affianca e supporta la solare figlia Alessandra. 

Il concetto di sostenibilità per Claudio è superato, l'incrementabilità è il passo successivo, la formula da cui si ricava è: sviluppo sostenibile + nuova conoscenza = sviluppo incrementabile. Abbiamo approfondito con lui la sua filosofia.

DoctorWine: Ricerca, tradizione e innovazione come si coniugano nella sua filosofia produttiva?

Claudio Quarta: La tradizione ha in sé, implicito, il concetto di innovazione. Se ogni generazione non alimenta quella colonna della tradizione con qualcosa di suo, viene meno al suo dovere e rischia di renderela qualcosa da esporre in un museo, non più elemento di ricchezza e di forza di un territorio e di un popolo. Il mio scopo è fare vini che pur mantenendo le caratteristiche d’origine siano eleganti, fini e complessi per soddisfare i palati più esigenti. Mi proposi di avere un vino nella classifica dei primi 100 vini al mondo per la rivista Wine Spectator. Trascorsi 11 anni il mio Primitivo di Manduria Antico Sigillo 2014 è stato incluso nella classifica del 2016 al 63° posto. 

DW: Il criterio di selezione per territori e cantine?

CQ: La mia prima scelta è stata produrre i grandi rossi di Puglia, primitivo e negroamaro. Ho impiantato i vigneti a Pulsano, Lizzano Marina e realizzato la cantina di Tenute Eméra. Poi eccomi a Sanpaolo a Torrioni, i bianchi campani sono per me tra i migliori al mondo. Potevo ritenermi soddisfatto, ma mancava ancora un piccolo importante tassello per completare il puzzle dei miei ricordi: il Salice Salentino. Il Salice Salentino è a base di negroamaro e malvasia nera (massimo 15%) e si può produrre solo in un'area ristretta a sud-ovest di Lizzano; l'epicentro è il comune di Guagnano. Qui, ho acquisito un antico, piccolo vigneto, rilevato un vecchio stabilimento trasformandolo in uffici e ridotto drasticamente la capacità produttiva. A Moros produco solo l’omonimo vino in quantità limitatissime, 6.500 bottiglie l'anno.

DW: Perché è importante la biodiversità?

CQ: La biodiversità è alla base dell’evoluzione della vita, nell’uomo, nel regno animale e vegetale. Mai come ora si è parlato di resilienza per comprendere il valore della biodiversità. Quanti eventi traumatici si sono succeduti nel corso dei milioni di anni di storia e sono stati superati grazie alla capacità delle forme viventi di mutare e di adattarsi ai nuovi ambienti? Tutte le mutazioni hanno portato ad una biodiversità. Pensiamo alla vite, le tracce fossili dei suoi semi in Europa settentrionale risalgono al terziario antico, ovvero 65 milioni di anni fa, quando il clima era tropicale. La separazione dei due blocchi continentali, America ed Eurasia, le ripetute glaciazioni durante tutto il Quaternario, fecero sì che le popolazioni di vite, già diverse fra loro, si differenziassero ancor più dando origine a specie diverse. 

DW: Con quale obiettivo nasce la Collezione biodiversità?

CQ: Con un triplice obiettivo: salvaguardare il patrimonio immenso che viene dalla biodiversità e che, se disperso, reca un danno incalcolabile perché con esso si perde la capacità di resistere e di migliorarsi; selezionare varietà che per le loro caratteristiche organolettiche potrebbero dare vini di particolare interesse; isolare varietà naturalmente resistenti allo scopo di comprendere i meccanismi della resistenza e creare varietà autoctone che siano insensibili o resistenti agli agenti patogeni senza dover ricorrere all’uso di sostanze chimiche.

DW: A che punto è lo studio, quali sono le varietà più interessanti? 

CQ: Il lavoro è svolto in collaborazione con la facoltà di Agraria di Milano. Ad essere più precisi, siamo noi a supportare il professor Attilio Scienza, il professor Osvaldo Failla e la loro equipe. Effettuano tutto il lavoro di caratterizzazione che ha portato all’isolamento di alcune varietà, di origine georgiana, di cui stiamo intensificando la conoscenza. Quest’anno avremo anche il supporto della facoltà di Enologia di Lecce.

DW: In Puglia quanto lo sviluppo è davvero sostenibile?

CQ: Ci sono imprenditori virtuosi ed altri meno. Tutti dobbiamo sentire il dovere di un’etica nel lavoro come nella nostra vita sociale. Dunque, tutti (nessuno escluso) possono e devono contribuire a uno sviluppo sostenibile o, meglio, incrementabile.

DW: Qual è lo stile di Claudio Quarta?

CQ: Per capire qual è il mio stile bisogna chiedersi perché io faccia il vino. Il perché condiziona il come e quindi il cosa si fa. Il mio perché è fare vini del sud che emozionino, esprimendo la massima qualità possibile ed applicando un processo che definisco di “verità”, vale a dire la manifestazione reale delle caratteristiche di vitigni e territorio senza la loro modificazione attraverso pratiche estreme di cantina. Il mio pensiero coincide con l'idea della preesistenza della filosofia platoniana. Estesa al vino, questa ci porterebbe a dire che il vino è un prodotto che può derivare da un processo spontaneo delle uve, certo il processo spontaneo non porta a un vino di qualità, ma questo è un altro discorso, è già presente all’interno di un vigneto. È sufficiente estrarlo da esso e senza eccessive manipolazioni.

DW: Cosa pensa del biodinamico?

CQ: Se prendiamo della biodinamica la visione olistica, può trovarmi favorevole, ma le pratiche da “stregoni” appartengono ad un passato oscuro che non si comprende proprio come possano trovare proseliti in tempi moderni.

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