Cosa bolle nel vulcano?

di Riccardo Viscardi 19/04/17
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Cosa bolle nel vulcano?

Un tour per le contrade dell'Etna favorisce alcune considerazioni sullo stato dell'arte.

Le premiazioni di The best in Sicily, meravigliosamente organizzate da Cronache di gusto del nostro amico Fabrizio Carrera, hanno avuto un successo travolgente. La maestosa cornice del Teatro Massimo di Palermo faceva fatica a contenere tutto il pubblico presente. Insomma posti in piedi in platea e teatro strapieno in ogni ordine di palchi. Presenti tutte le autorità regionali, vari sindaci e vari parlamentari europei, con discorsi che potremmo definire da orgoglio siciliano; bell'atmosfera e molti interventi interessanti per contenuti e visione.

Ma la vera festa, per noi, iniziava il giorno dopo con un bel tour per le contrade dell’Etna. Un tour articolato che prevedeva anche alcune tappe extra vino a testare alcuni dei premiati; vi segnalo un ragazzo dal talento pazzesco al ristorante dell’Eolian Hotel di Milazzo, Davide Guidara di appena 22 anni, e una struttura alberghiera di tipo diffuso molto interessante con un buon ristorante interno, Monaci delle Terre Nere, a Zafferana Etnea.

Oltre ad alcuni vini, mi ha colpito il movimento intellettuale e il piano industriale che si percepisce sul vulcano, da parte di tutti i produttori visitati, indipendentemente dalla loro dimensione. È la prima volta che mi accade di sentire un così forte senso di appartenenza e di comune visione sul territorio. Non abbiamo visitato tantissime cantine ma il risultato è sorprendente.

La doc consta di circa 2000  ettari  ma il vino prodotto è di circa due milioni di bottiglie, per fare un esempio con la stessa estensione di vigneti nella zona del Barbaresco fanno il doppio delle bottiglie. Perché? Come dicono alcuni produttori, molti vigneti sono vecchi  e rendono poco anche perché le viti sono, potremmo dire, in “ordine sparso”; moltissimi vigneti al contrario sono giovani e non danno ancora la qualità che ci si aspetterebbe da loro. Secondo me questa bassa produzione non è male perché consente di avere prezzi stabili e abbastanza alti sui vini, un modo coscienzioso di gestire la domanda sempre crescente per questo prodotto.

Bisogna ricordare che l’Etna deve moltissimo ai produttori che iniziarono ad investire con grande lungimiranza alla fine del secolo scorso. Molti provenivano da altre realtà produttive, sempre del settore, ma in altre parti d’Italia. Fino a quel tempo l’Etna non era conosciuta se non per i vini di Benanti , che faceva comunque molta fatica ad affermare la zona. Inoltre il suo vino più famoso era il Pietra Marina, un bianco, mentre la rivoluzione etnea è passata per i vini rossi tramite il nerello mascalese. Quindi la storia moderna e di successo passa per i nomi di Andrea Franchetti , già Tenuta di Trinoro in Toscana, e di Marc de Grazia , che dopo aver rivoluzionato il Barolo da importatore, ha reinventato l’Etna da produttore con l’azienda Passopisciaro. Ora sul vulcano sono presenti praticamente tutte le storiche cantine della Sicilia e il tessuto locale è cresciuto con una notevole incremento dei produttori anche di altissima qualità.

Il Consorzio di tutela  di recente fondazione raduna circa un centinaio di produttori che coprono oltre il 90% della produzione. I prezzi dei terreni sono abbastanza stabili e non variano molto da contrada a contrada nonostante i produttori abbiano in testa una loro personale graduatoria degli appezzamenti. Probabilmente la situazione è ancora piuttosto fluida vista la giovinezza della zona sulla produzione di qualità. In effetti c'è una proliferazione di etichette indicanti le contrade di provenienza, temo però che possa generare un po' di confusione nel consumatore, anche perché la zona è decisamente vasta. Che le varie contrade diano risultati diversi è abbastanza evidente soprattutto a livello di trama tannica per ora; stiamo vedendo un grande impulso a cercare delle nuove vie di vinificazione sul nerello (mascalese e cappuccio) e differenti invecchiamenti. Le aziende con cantine tecnologicamente molto ben attrezzate con “giocattoli “ costosi e performanti sono in espansione e anche i vini dalla qualità media elevata sono in crescita.

Sul fronte dei bianchi l’idea che la zona di Milo sia particolarmente vocata è assolutamente consolidata e infatti i terreni costano almeno 30% in più. Sarebbe auspicabile un ampliamento della zona doc soprattutto verso le quote più alte di quelle consentite dal disciplinare attuale, anche perché in altura i bianchi vengono particolarmente bene.

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