L’acqua di Talete

di Daniele Cernilli 25/02/19
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Telete di Meleto con calice di vino

Un vino rappresenta anche la storia di territori, persone, climi, paesaggi, tradizioni, ha cioè un valore simbolico che va al di là delle semplici caratteristiche organolettiche.

Di tanto in tanto mi rivengono in mente vecchi episodi di una vita “precedente”, quando mi capitava di studiare filosofia e non ero ancora passato “dallo spirito all’alcol”. Uno di questi riguarda il mio professore di teoretica e relatore della tesi, Guido Calogero, che una volta, spiegando i Presocratici, e più specificamente il pensiero di Talete, che considerava l’acqua come principio e origine del tutto ci chiese “secondo voi, l’acqua di Talete si sarebbe potuta bere?” La risposta di qualcuno fu “ma no, professore, quello è un principio filosofico, teorico.” E lui replicò “guardate che Talete parlava della Natura, e l’acqua per lui era quella reale, che si trova effettivamente ovunque, anche nei vegetali, negli animali, in noi stessi. Quindi si sarebbe potuto ‘anche’ berla”.

Ecco, riportando questo discorso al mondo dei vini, quando si affrontano alcuni fra i più rappresentativi di essi, quello che mi sembra evidente è che si possano “anche” bere, ma che il loro significato vada “anche” oltre. Proprio come per l’acqua di Talete. Un vino di quel genere è anche la storia di territori, di persone, di climi, di paesaggi, di tradizioni. Che sia un Romanée Conti o una straordinaria espressione di Lambrusco, la questione non cambia. Quello che è importante, penso, sia il valore simbolico, la capacità di rappresentare qualcosa che vada al di là delle semplici caratteristiche organolettiche e del fatto che possa piacere qui ed ora a qualcuno. Andando allo stesso tempo al di là di una sorta di utopia individuale che ha a che fare col fatto che sia un vino buono perchè soddisfa le esigenze personali di un singolo. Cose anche comprensibili, ma non definitive.

Veronelli spesso ricordava che ogni vino è un racconto. Forse è proprio questo che ci fa amare questo mondo e che lo può rendere più comprensibile a molte persone, che non necessariamente sono talmente esperte da riconoscere mille profumi e mille sfaccettature tecniche. Di recente sono scomparse molte persone, molti fantastici viticoltori che hanno messo passione e intelligenza, oltre che capacità, nel loro lavoro. Bruno Giacosa, Beppe Rinaldi, Nino Pieropan, Beppe Colla, Severino Garofano qualche giorno fa Gianfranco Soldera e Fabrizio Piccin. Nei loro vini penso sarà importante il ricordo di ciò che hanno fatto, di come hanno provato a interpretare i loro territori attraverso i loro vini. Perché erano qualcosa che raccontava della loro anima, e non solo dei sapori e dei profumi. Non erano insomma solo cose da bere.





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