Pelago. Il meglio degli anni Novanta (1)

di Francesco Annibali 21/07/15
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Pelago. Il meglio degli anni Novanta (1)

Non è facile, nel 2015, parlare di un vino come il Pelago di Umani Ronchi. E questo, beninteso, non per ragioni qualitative – sgombriamo infatti subito i dubbi e diciamo che ci troviamo di fronte a uno dei più grandi rossi delle Marche, capace spesso di porgere tratti di eccellenza –, ma per via di una certa difficoltà dei cosiddetti tagli bordolesi, anche quando sono mescolati ad uve autoctone come in questo caso il montepulciano, ad entrare nel cuore degli appassionati.
Premium wine di Umani Ronchi, una delle pochissime aziende marchigiane riuscite a diventare marchio (insieme a Bucci, Velenosi e ne dimentichiamo poche), grazie ad una incredibile costanza qualitativa e ad una continua opera di promozione e comunicazione in giro per il mondo.
Nata nel 1950 a Cupramontana, frutto dell'unione imprenditoriale delle famiglie Umani Ronchi e Bianchi Bernetti, l’azienda sin da subito creò due cantine: una a Castelbellino, nel centro del Verdicchio dei Castelli di Jesi, e l’altra ad Osimo, nella Doc Rosso Conero. Ovvero nelle due più importanti denominazioni regionali, per un totale di 200 ettari di proprietà.
Il Pelago è un blend di cabernet sauvignon e montepulciano con una piccola aggiunta di merlot dell’area del Monte Conero, e viene affinato nella stupenda cantina di Osimo. Figlio purissimo degli anni Novanta, nei quali si pensava che per affrontare al meglio i mercati esteri gli autoctoni dovessero essere nobilitati dalla comunione con i bordolesi.
Offuscato in parte nel catalogo aziendale dal Verdicchio dei Castelli di Jesi Casal di Serra (spesso eccellente) e dal nuovo Conero Riserva Campo San Giorgio (la prima annata uscita l’anno scorso, la 2009, è supersonica), il Pelago non gode attualmente del consenso che merita. Eppure, quando nel 1997 uscì sul mercato la prima annata 1994, il successo fu immediato. E che successo.

 


 

Pelago 1994 infatti vinse il primo premio dell’International Wine Challenge di Londra. Uno dei riconoscimenti più importanti al mondo, in quel periodo. Cosa che gli permise di entrare nella ridotta lista dei vini rossi italiani famosi al mondo fuori dalle regioni d’oro (Toscana, Piemonte, Veneto).

“Si tratta di un vino figlio di Tachis, anche se il cabernet sauvignon è presente in azienda da metà anni ‘80. Inizialmente volevamo fare il classico taglio bordolese, limitandoci a unire il cabernet sauvignon al merlot. Tachis decise di inserire anche il montepulciano, lo fece fino al 2001, quando venne sostituito da Beppe Caviola”, ci dice Michele Bernetti, ancora giovane ma già da tempo saldamente al comando della azienda di Osimo.

Doctorwine: “Come riusciste ad ingaggiare Tachis, che allora era il massimo enologo italiano?”
Michele Bernetti: “A dire il vero si lasciò conquistare più che altro dal risotto di Emilia a Portonovo! Non solo, battute a parte. Il Conero possiede terreni calcarei, freschi e profondi, eccezionali per i rossi da invecchiamento. Tachis se ne accorse velocemente”
DW: “Poi nel 2001 la guida tecnica passò nelle mani di Beppe Caviola.”

 


 

MB: “Esatto. Tachis non era più un ragazzino, e Giuseppe Caviola ci sembrò la scelta più adatta. Il vino non ha subito il minimo contraccolpo qualitativo, anche se la mano differente, con un tannino lievemente più ruvido a partire dal 2001, più‘piemontese’, si può percepire.”
DW: “Quali sono i segreti del Pelago.”
MB: “In cantina non ce ne sono. In vigna manteniamo un forte apparato fogliare, rimanendo molto corti con le potature. Ciò permette una maturazione, lenta, graduale dei grappoli, che arrivano alla piena maturazione zuccherina, aromatica e fenolica contemporaneamente”.
DW: “Pelago: muscoli o finezza?”
MB: “Direi la seconda. Anche se la variabilità delle annate tradisce i natali marini e mediterranei. A nostro parere dà il meglio di sé nelle annate calde.”





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