Costa Marina, l’acqua di mare al profumo di erbe aromatiche (1)

di Francesco Annibali 11/05/16
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Costa Marina, l’acqua di mare al profumo di erbe aromatiche (1)

Anche se in Italia è un concetto non molto condiviso, non è possibile comprendere un vino o una denominazione prescindendo dalla sua storia commerciale. Cosa che invece sanno bene gli inglesi, da Hugh Johnson in giù, che con il suo imprescindibile ‘Il Vino. Storia, tradizioni, cultura’ scrisse anche – anzi, in molti punti soprattutto – una storia del commercio del vino.

I Colli di Luni e il vermentino 

Una lezione, quella di Johnson, da ribadire a maggior ragione se si vogliono comprendere i Colli di Luni, zona collinare vicina al mare, a cavallo tra Toscana e Liguria, accanto al porto di La Spezia, e non lontana da quello di Livorno, che dista poco più di un’ora.

Una zona la cui storia è documentata dall'epoca dell'Impero Romano, con – appunto – protagonista il fiorente porto della città di Luni, i cui resti costituiscono oggi una vasta zona archeologica di notevole interesse storico e culturale, dal quale partivano i vini qui prodotti. Plinio il Vecchio scrisse chiaro e tondo che il vino di Luni aveva la palma fra quelli dell'Etruria. Le coste miti, soleggiate e ventilate di produzione del vino dei Colli di Luni si affacciano sul Mar Ligure e sul Mar Tirreno, e rappresentano, insieme alla Sardegna, le terre di elezione del vitigno vermentino, il più diffuso e rinomato nella zona.

Le origini di questo vitigno sono ancora oggi oggetto di dibattito tra gli ampelografi, anche se sembra certo che le prime viti siano arrivate in Liguria dalla Francia, diffondendosi dalla Costa Azzurra verso le coste occidentali della Liguria, e poi lungo tutta la regione, fino alle zone collinari dell’alta Toscana e della Lunigiana.

A parere di alcuni esperti, si tratta di un vitigno strettamente imparentato con la ampia famiglia delle malvasie.

La coltivazione della vite nella zona di Luni nei secoli è rimasta costantemente legata proprio alla presenza di questo vitigno, ritenuto da sempre la varietà meglio adattabile su queste colline. E quella più capace di restituire i caratteri territoriali, marini e collinari al contempo.

La vocazione viticola si consolidò nel XVIII secolo, e proseguì con un fiorente commercio locale soprattutto verso le città in rapido sviluppo. Nel corso dell’Ottocento poi i primi comizi agrari tenutisi in Liguria ribadirono l’opportunità di coltivare soprattutto il vermentino, grazie anche alla attenzione dello studioso Giorgio Gallesio, che dedicò al vitigno e ai vini che se ne ottengono molte pagine nella sua Pomona Italiana.

Da allora il vitigno si è diffuso soprattutto nelle caratteristiche fasce collinari e sulle terrazze aperte sul mare.

 


Ma lo sviluppo più significativo della viticoltura nella zona è avvenuto nell’ultimo trentennio, con la nascita e il consolidamento di realtà imprenditoriali di livello, condotte da giovani del luogo. La base ampelografica dei vigneti ha mantenuto la propria identità, con una netta prevalenza di vitigni autoctoni, presenti solo nel territorio: oltre al già citato vermentino, occorre menzionare l’albarola, sempre a bacca bianca, che restituisce vini dalle originali e pronunciate note erbacee.

Le forme di allevamento della vite sono tradizionali, e nel tempo non si sono mai discostate da quelle utilizzate in passato. Recentemente le tecniche enologiche, a venticinque anni dal riconoscimento della Doc, avvenuto nel 1989, hanno portato gli operatori a selezionare maggiormente le caratteristiche peculiari che il fattore ambiente esalta, e a migliorare in cantina un prodotto che, già dalla vigna e dalle caratteristiche delle uve, possiede note piuttosto uniche.

Il vitigno vermentino attuale deriva da acclimatazioni di cloni a bacca bianca importati secoli fa, e differenziatisi in funzione delle specificità mesoclimatiche locali. Un vino meno noto forse del fratello sardo, più alcolico e comunicativo (almeno si ci riferiamo in via esclusiva alla Gallura), ma altrettanto probabilmente più capace di restituire i caratteri del territorio, del millesimo di provenienza e di evolvere in bottiglia.

In particolare sembra distinguersi per il fatto di possedere acidità non pronunciata, colore molto vivace, profumi non molto intensi ma fini e un attacco di bocca piacevolmente amarognolo. Particolare il finale, segnato da una sapidità marina e di erbe aromatiche, riconducibile alla particolare scioltezza dei terreni, per la maggior parte drenanti e sabbiosi.

Nonostante la vulgata sottolinei come si tratti di bottiglie non particolarmente adatte all’invecchiamento, la nostra degustazione ci ha lasciato con parecchi – piacevoli – dubbi.

 

 


 

 

L'azienda Ottaviano Lambruschi 

In questa zona e denominazione, Ottaviano Lambruschi ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale.

L’azienda nasce a metà degli anni Settanta, quando Ottaviano Lambruschi decise di abbandonare dopo 40 anni il lavoro di cavatore nelle cave di Carrara, per acquistare un bosco in località Marciano. E se oggi il passaggio dalla fabbrica alla campagna non è più percepito come qualcosa di particolarmente avventuroso, negli anni Settanta la cosa era considerata una mezza follia. Una follia ben ragionata e figlia di una grande passione, visto che a Ottaviano è sempre piaciuta l’agricoltura, e appena ha potuto è scappato dall’industria per rifugiarsi nel verde.

Dopo avere acquistato il bosco, Ottaviano iniziò il disboscamento e ci costruì il primo vigneto, il Costa Marina. Dalla fine degli anni Ottanta Ottaviano è aiutato dal figlio Fabio il quale, dopo essersi diplomato come agrotecnico, ha portato nuova tecnologia sia in vigna che in cantina, sempre con un occhio di riguardo alla tradizione. La cura costante in tutte le fasi, e la selezione delle uve, conferiscono pregio e stile classico a un bianco costantemente al vertice della enologia regionale.

Il sistema di allevamento è Guyot o, nei filari dove è possibile, Capovolto semplice, e la lavorazione è alternata, con una fila lavorata e l’altra inerbita. Nel sottofila l’erba viene sfalciata senza lavorazioni.

La chioma viene cimata due volte o tre secondo l’annata. Passando in cantina, la vinificazione è in bianco: dopo la pressatura soffice a temperatura controllata, l’affinamento è effettuato esclusivamente in vasche d’acciaio. Il mosto ottenuto dalla pressatura viene fatto decantare per circa 24 ore, dopodiché viene travasato e inizia la fermentazione che può durare 10-15 giorni. Si effettuano tre travasi: il primo dopo la fine della fermentazione alcolica, il secondo dopo circa 20 giorni e il terzo a fine inverno, quando il vino viene preparato per l’imbottigliamento, che avviene di solito verso marzo. In queste fasi il vino viene monitorato con delle analisi chimiche e piccole aggiunte di anidride solforosa. La fermentazione malolattica è sempre accuratamente evitata.

 [A domani, per l’intervista e la degustazione verticale del Vermentino Costa Marina.]

 

  





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