Calvarino Pieropan, il volto sobrio del Soave (1)

di Francesco Annibali 02/01/19
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Andrea Pieropan vini Soave

Apriamo questo 2019 con l’intervista ad Andrea Pieropan, per concludere domani con la verticale del Soave Calvarino.

Raccolto entro eleganti mura medievali e sovrastato dal notevole Castello, il centro storico di Soave si trova ai piedi delle colline che si sollevano dalla Pianura Padana. Una denominazione, quella che prende il nome dalla cittadina, storica, e che nei decenni si è ampliata moltissimo. Nonostante questo, la zona classica, ovvero quella attorno al paese, resta la migliore, e dona alcuni dei migliori bianchi italiani: un grande Soave è un piccolo miracolo di delicatezza e frutto. Una denominazione resa famosa da una parte dalla cooperativa più grande d’Europa e da produttori di grandi dimensioni, e dall’altra da alcuni piccoli, eccelsi interpreti, dei quali il capofila acclamato è Pieropan, con la sede storica nel cuore del centro storico.

Non è facile parlare ora dei vini di Pieropan, visto che meno di un anno fa, ad aprile 2018, Leonildo Pieropan, fondatore e anima della azienda, ci ha lasciato all’età di 71 anni.  E non è esagerato dire che Leonildo sia stato uno dei maggiori uomini del vino italiano: non solo colui che ha portato il Soave e le etichette Pieropan nelle tavole migliori del mondo, ma anche il cofondatore – correva il 2008 – della Fivi, la Federazione dei Vignaioli Indipendenti.

Così oggi magari suona strano dire che il Soave Calvarino, selezione che è un cru a tutti gli effetti, è uno dei più grandi vini bianchi italiani in senso assoluto. Non solo perché può sembrare un facile tributo, ma soprattutto perché si tratta di un segreto condiviso da troppi pochi appassionati. E una delle ragioni di questo segreto sta – possiamo dirlo? - in un prezzo sin troppo contenuto, e in una fisionomia organolettica sussurrata.

A proposito del vigneto: “Calvarino” significa “piccolo calvario”, a testimoniare le difficoltà di lavorazione di un terreno di origine vulcanica, scuro e duro, ricco di basalti e tufi, che nutre una vigna affacciata a ovest e posta a terrazzo, sopra il comune di Soave. Una vigna allevata a pergola, un sistema che dona alla garganega - vitigno prevalente del Soave - un profilo complesso di fiori di rosa e frutta a pasta bianca, meno ammandorlato e mieloso dei Soave provenienti dalla controspalliera. E un sistema – la pergola – che ripara l’uva dall’eccesso di sole, e le permette di espandersi a dovere e dunque assecondare il naturale vigore del vitigno. Cosa che spiega il carattere discreto del vino, nonostante il cambiamento climatico.

“Il Calvarino è il fondo di famiglia, fu acquistato nel 1901”, mi dice Andrea Pieropan, agronomo, che insieme al fratello Dario prosegue il lavoro di papà Leonildo, con l’aiuto della madre Teresita.

DoctorWine: bicchiere alla mano, il Calvarino ha note particolarmente delicate, meno spinte di quelle della maggioranza dei bianchi provenienti da terreni vulcanici.

Andrea Pieropan: la delicatezza del Calvarino non è figlia dell’acido malico, ma del tartarico. La garganega è povera di malico. Motivo per cui, tra l’altro, non facciamo mai la fermentazione malolattica.

DW: un’altra caratteristica dei migliori Soave è che non sembrano provenire da colline così basse e vicine alla Pianura Padana, che d’estate diventa un forno.

AP: il fattore climatico decisivo è la seconda parte di settembre. È vero che d’estate il clima è ormai torrido, ma a inizio autunno le escursioni termiche ti fanno capire che siamo in nord Italia.

DW: il Calvarino è il primo della classe di una denominazione non priva di criticità.

AP: A Soave c’è un grande problema di qualità media. È un fardello tipico delle denominazioni datate, come credo anche l’Orvieto o il Frascati. E il Lugana ci sta facendo una forte concorrenza. I turisti tedeschi si fermano sul Garda, non sempre arrivano qui a Soave, nonostante la vicinanza. Se a questo si aggiunge il forte miglioramento qualitativo dei bianchi della Germania, che sono stati aiutati chiaramente dal cambiamento climatico, si spiega il motivo per cui il mercato tedesco non è più un Bengodi. Anche se ci sono altri mercati che vanno molto bene. Ma il problema è un altro.

DW: quale?

AP: quando si parla del prezzo dei vini, spesso si spacciano per questioni economiche quelli che in realtà sono problemi culturali. E la stampa non aiuta.

DW: cioè?

AP: non c’è una grande differenza economica tra spendere 5 euro o 8 euro per un vino. Esistono barriere psicologiche di acquisto causate da una informazione malfatta.

DW: immagino che ti riferisci al prezzo del Calvarino

AP: anche. È un vino che non costa molto. Anzi: lo confronto spesso in degustazione con i migliori bianchi del mondo, che costano anche dieci volte di più, e il Calvarino – voglio usare un eufemismo – tiene sempre il passo.   

(A domani, con le note organolettiche di varie annate di quest’ottimo Soave).

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