Borgogno, il nuovo che viene da lontano (l’intervista)

di Francesco Annibali 12/11/19
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Borgogno Andrea Farinetti

La famiglia Farinetti ha acquistato la storica azienda Borgogno nel 2008. Abbiamo parlato con Andrea Farinetti.

Non è facile approcciarsi alla cantina Borgogno, a Barolo, nel cuore delle Langhe, con spirito neutro, da quando è stata acquistata – era il 2008 – da quel genio dell’imprenditoria che è Oscar Farinetti.

Inizialmente non furono pochi a dubitare delle reali intenzioni dell’imprenditore baffuto: parecchi erano convinti che avrebbe svilito i lineamenti dei Barolo che escono da decenni da questa azienda che rappresenta una colonna portante delle Langhe con annessi e connessi, come lunghe macerazioni, botti grandi, Barolo poco carnosi e inizialmente un po’ duri. E invece così non è stato, anzi: da alcuni anni nella cantina di Borgogno è tornato il tradizionalissimo cemento per la fermentazione di alcuni rossi che per un po’ erano stati fatti nascere in acciaio.

Oggi l’azienda è guidata dal figlio di Oscar Farinetti, Andrea, che a dispetto della giovane età dimostra di avere idee chiare ed equidistanti sia da una visione nostalgica del passato che da una acritica fiducia per le novità. Il risultato è una azienda nuova, ma che viene da lontano.

DoctorWine: Andrea parlaci di te.

Andrea Farinetti: ho 29 anni e mi sono diplomato alla Scuola Enologica di Alba. Nel 2008 la mia famiglia ha acquistato Borgogno, nel 2010 sono entrato a lavorare in azienda, occupandomi a tutto tondo degli aspetti produttivi e commerciali.

DW: quali sono i tuoi propositi professionali per il futuro?  

AF: il più importante credo sia quello di cercare di lavorare sempre di più con rispetto per l’ambiente e per le generazioni future, provando a lasciare qualcosa meglio di come l’ho trovato. 

DW: qual è la sfida più importante per l’immediato?

AF: direi il Derthona, che abbiamo iniziato a produrre solamente dalla vendemmia 2015, e sta già riscontrando un grande successo, tanto che con la vendemmia 2019 produrremo anche un cru. 

DW: passiamo al Barolo, che ha un’immagine, ben meritata, di vino importante. Non credi che ciò possa anche rappresentare potenzialmente un peso, in un periodo in cui le nuove generazioni richiedono sempre più vini di facile approccio?   

AF: questo è vero, però la cosa non mi fa paura. Il Barolo negli ultimi 10 anni è cambiato molto, non è più il vino difficile che ha bisogno di tempo per essere bevuto. Paradossalmente con il ritorno a tecniche antiche e alla vera tradizione il Barolo è diventato un vino dall’approccio più generoso, mantenendo però la sua capacità di invecchiare, la sua longevità.  Penso che da una parte ci siano i giovani curiosi e propensi ad imparare, dall’altra ci siamo noi che dobbiamo raccontare il nostro territorio e i nostri vini. Dobbiamo far capire che il Barolo non è un vino per pochi, inavvicinabile, ma un grande vino di cui bisogna tenere alto il nome e la qualità, una grande fortuna per noi della Langa. 

 DW: non ritiene che sia proprio questa volontà di dare un approccio “facilitato” al Barolo il miglior lascito degli innovatori degli anni Ottanta e Novanta? 

AF: credo che negli anni ‘80 e ‘90 alla base del movimento dei Barolo Boys ci fosse innanzitutto da parte di alcuni produttori la voglia e necessità di riscatto e di fare il salto avanti a livello commerciale. Questo ha portato a molti fattori, tra cui importanti innovazioni ed esperimenti in cantina. Alla fine, mi sono convinto che faccia tutto parte di un’evoluzione che forse avviene in ogni ambito. 

DW: Quali sono state le principali implicazioni di tutto questo?

AF: Il risvolto positivo è sicuramente l’attenzione che questo movimento ha portato su Barolo e sul territorio. In contrapposizione a questo, invece, alcune cantine storiche come Borgogno hanno proseguito uno stretto legame con la tradizione della Langa. Questo è stato altrettanto importante per mantenere stretti i legami con la storia, soprattutto oggi che, secondo noi, c’è un grande ritorno alla tradizione.

DW: non ritiene che anche i grandi tradizionalisti di Langa abbiano giovato, anche senza ammetterlo a volte, delle innovazioni degli anni Ottanta e Novanta? 

AF: penso di sì, e penso anche che sia stato giusto, dato che senza i tradizionalisti gli innovatori degli anni Ottanta e Novanta non avrebbero avuto nulla da innovare. Inoltre, se penso ai grandi tradizionalisti di Langa, penso a personalità forti come Rinaldi e Mascarello, di quelle personalità piemontesi, tenaci e testarde, fermamente attaccate al loro territorio ma soprattutto alle loro idee di vino e di tradizione. “Il Barolo è questo, e non si cambia”. E a giudicare il grande successo dei loro vini non hanno avuto torto. Allo stesso modo, per Borgogno, che è forse la più antica casa vinicola della Langa, che è sempre stata ostinata nel non abbandonare la tradizione, oggi come da sempre i nostri vini vengono fermentati in vasche in cemento con l’utilizzo di soli lieviti indigeni, macerazioni lunghe e invecchiati in grandi botti di rovere di Slavonia. 

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