Chardonnay e Grignolino, i due volti di Tenuta Santa Caterina

di Livia Belardelli 02/11/23
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Guido Carlo Alleva

Un’azienda nel cuore del Monferrato che si impone grazie all’impegno del titolare Guido Carlo Alleva, innamorato di vigna e cantina fin da bambino.

Milano, una tiepida serata di settembre, al ristorante di Daniel Canzian, alla scoperta dell’ultima creatura di Tenuta Santa Caterina, azienda nel cuore del Monferrato. Ad accoglierci al tavolo Guido Carlo Alleva, patron dell’azienda. La sua è la storia di un ritorno. Alle sue origini monferrine, alla passione nata in giovane età poi abbandonata per seguire la via più “seria”, che lo porta a una carriera importante come penalista. Ma Alleva resta vigneron nell’animo. Così, nel 2000 entra in possesso della settecentesca Tenuta Santa Caterina a Grazzano Badoglio, nell’Astigiano, in quegli stessi luoghi dove da bambino era sbocciato l’amore per la terra e per il vino.

Da qui parte un lungo lavoro di rigenerazione che porta oggi alla rinascita dell’intera tenuta, in un’atmosfera ovattata e antica dove riprendono vita i soffitti a volta, i vecchi parquet e un’intimità senza tempo che si fa tutt’uno col paesaggio circostante, con i giardini perfettamente curati e, ovviamente, con quei vigneti che Alleva, nomen omen, aveva sempre voluto curare. 

La Tenuta comprende 23 ettari di vigneto e produce circa 60.000 bottiglie avvalendosi del lavoro di Luciana Biondo, agronoma ed enologa che dirige la Tenuta. Biologica dal 2015 l’azienda in realtà ha sempre seguito la strada della natura, con un approccio teso al biodinamico ma senza la necessità di imbrigliarsi in esso. Un approccio che non necessita di essere categorizzato e che si traduce in una tecnica agronomica sapiente dei cicli naturali finalizzata al rispetto e alla valorizzazione della fertilità biologica del suolo e a una precisa attenzione alla biodiversità.

La maggior parte dei vigneti sono stati rimpiantati ma rimangono ancora due vecchie vigne, una di Freisa e una di Grignolino, quest’ultimo vera passione di Guido Carlo che, negli anni, ha saputo riportarlo ai suoi antichi fasti insieme all’associazione Monferace. Dimenticate la visione del Grignolino da consumare subito, facile e beverino. Il Monferace è un vero e proprio progetto che dal vitigno vuole tirare fuori nuovamente la sua capacità di invecchiare nel tempo e di stupire con la sua eleganza e profondità. Una scommessa vinta che nel Monferace di Tenuta Santa Caterina ha certamente una solida conferma. 

Ma torniamo alla tiepida serata di settembre, coccolati dai piatti originali e decisi di Daniel Canzian – uno su tutti le suadenti Cappesante alla serenissima, un gioco voluttuoso tra sapidità del mollusco e dolcezza dei fichi – per virare verso la faccia bianchista dell’azienda. Sì, perché a fare da contraltare al Grignolino, c’è anche lo Chardonnay. Amore antico anche questo, che ha portato Alleva a spingersi in Borgogna per individuare i cloni giusti da piantare in un territorio che fin da subito, per i suoli bianchi e calcarei della Tenuta, ha immaginato perfettamente compatibile con quest’uva.

“È dalla fine del Settecento che, in Piemonte, si coltiva lo Chardonnay - spiega Guido Alleva – e quitrova il suo habitat ideale. Ci sono zone della Borgogna molto simili alle nostre del Monferrato, con terreni ricchi di calcare”. Nasce così il Silente delle Marne, dal vigneto Maddalena a 300 metri sul livello del mare, uno Chardonnay in purezza che deve il suo nome proprio al suolo marnoso di cui si nutre. Un vino grasso e di elegante burrosità, sensuale e pieno, che stilisticamente riporta a Meursault e a quella Borgogna da cui Guido Alleva parte per far sbocciare il suo Chardonnay. 

Ma il protagonista oggi è il fratello minore, neonato appena arrivato nel calice e motivo dell’incontro della tiepida serata settembrina, primo Metodo Classico aziendale. 36 mesi sui lieviti, stesso vitigno, stessa vigna ma carattere molto diverso, elegante e dinamico, caratterizzato da un’esuberanza giovanile. Circa 3000 le bottiglie prodotte, ma “voci confermate” giurano che in cantina una buona parte di esse riposa ancora sui propri lieviti, per lasciare che il tempo le scolpisca ancora tirandone fuori nuove profonde sfumature e l’anima di quel territorio e di quel bambino, che tanti anni prima, in quei luoghi giocava e si immaginava vigneron.

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