Mangiaci ancora, Sam (2)

di Leonard Barkan 13/09/16
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Mangiaci ancora, Sam (2)

Oltre ad essere una cucina di negazioni, quella ebraica-yiddish è al tempo stesso una cucina di feste, nella quale ad ogni ricorrenza del calendario liturgico si accompagna un piatto tradizionale. A Purim si mangiano le Tasche di Aman [pasticceria di frutta secca], per rilanciare la sfida al “cattivo” dell’episodio biblico di Esther. I latkes, crespelle di patate unte di grasso di pollo, si mangiano per celebrare il miracolo dell’olio per le lampade di Hanukkah. Al seder di Pasqua, quando è interdetto l’uso di lievito in memoria della fuga dall’Egitto, si elabora una cucina particolarmente estrosa basata sulla farina di pane azzimo, su varie erbe come rafano e prezzemolo, e sull’haroseth, piatto di mele e miele.

Le feste non religiose si festeggiano andando a mangiare fuori casa pietanze particolarmente elaborate, che non si possono preparare tra le mura domestiche. Si mangia ad esempio il lox, salmone affumicato leggermente più saporito e più grasso rispetto a quello della tradizione scozzese. Guai a chi serve un brunch domenicale newyorkese che non abbia due requisiti fondamentali: Nova Scotia Lox (salmone affumicato) su un bagel spalmato di cream cheese e un New York Times che pesa cinque chili. Sempre fuori casa si acquistano le carni conservate: molto spesso viene utilizzata la punta di petto di manzo, taglio di carne particolarmente grasso e gustoso; messo in salamoia diventa l’aromatico corned beef, altrimenti messo sotto sale e abbondantemente pepato si trasforma in pastrami, forse il vertice della cucina ricca, saporita e piccante. Queste carni vanno mangiate calde, appena tolte dal bagno di vapore, su pane di segale spalmato di senape, insieme ad una bella quantità di cetrioli in salamoia.

Un discorso a séè la vera cucina casalinga, che richiede lunghe ore di lavoro da parte della cuoca per insaporire e ammorbidire una materia prima povera, già scartata dalla gente benestante. Si pensi ad alcune preparazione di base: innanzitutto il bollito, dal quale si ottiene il brodo di pollo, ricco delle fragranze della carne, della verdura e dell’aglio. Il brodo di pollo viene considerato anche una panacea, tanto che in americano viene soprannominato “penicillina ebraica” e ogni madre ebrea gli attribuisce infinite guarigioni.

La seconda preparazione di base è la miscela grasso di pollo e/o uovo con varie specie di amido: pangrattato, farina di pane azzimo, orzo o grano saraceno. Con questo impasto si ottengono vari tipi di gnocchi da mettere in brodo, fra cui i più famosi sono i knaidlach [in inglese matzo ball, knödel di pane azzimo] o i kreplach [tortelli]. Una variante è rappresentata dal gefilte fish, una polpetta di pesce bianco e carpa, che viene servita fredda con la sua gelatina: per vivacizzarne il sapore viene “addizionata” con quantità spropositate di rafano, specialmente di quello rosso colorato con la barbabietola.

Il terzo caposaldo di questa tradizione gastronomica consiste nella cipolla rosolata - in realtà bruciata - nel grasso di pollo, soffritto che è alla base della preparazione di tutte le carni in umido, insieme a sedano, carote e pomodori. Con la punta di petto di manzo si fa lo stracotto, il classico piatto d’onore dello shabbat.

L’ultima “base”è l’agrodolce, per il quale ci si avvale della dolcezza naturale di verdure come il cavolo, la cipolla e la carota; la sua apoteosi è lo tzimmes, grande contorno fatto di carote, patate dolci e uva passa: nei grandi pranzi rituali e familiari viene servito assieme allo stracotto di manzo, con qualche crespella di patate rosolata nel grasso di pollo. Non a caso in gergo “fare un grande tzimmes” vuol dire esagerare.

Dopo aver scorso questo elenco di piatti, ci si potrebbe chiedere come mai gli ebrei non siano stati sterminati dalla cucina yiddish prima ancora che dai loro nemici. Sia come sia, va notato che la dieta tradizionale e lo stato di benessere di un popolo formano una specie di ecosistema. Nel caso degli ebrei - e questo ogni italiano lo può capire - la cucina più che all’individuo reca salute alla memoria storica e alla comunità.

*Professore di Storia dell‘arte all'Università di Princeton

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Mangiaci ancora, Sam (1) 06/09/2016 Leonard Barkan Miscellanea




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