I vitigni resistenti, la nuova frontiera della viticoltura?

di Francesco Annibali 22/03/17
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I vitigni resistenti, la nuova frontiera della viticoltura?

La vite occupa il 3,3% dei terreni agricoli europei, in compenso consuma il 65% dei fungicidi utilizzati nell’intero comparto agricolo. Un problema drammatico che la comunità scientifica sta cercando di risolvere. Dopo un lavoro ventennale, i primi risultati sono una realtà: i  vitigni resistenti a oidio e peronospera , ottenuti dal lavoro congiunto della università di Udine e dei Vivai Cooperativi Rauscedo. Si chiamano sauvignon nepis, sauvignon rytos, merlot khorus: in totale una decina, già commercializzati da Rauscedo e iscritti al Catalogo Nazionale.


Si è svolto sabato 4 marzo a Tipicità di Fermo il convegno ‘I vitigni resistenti e le nuove frontiere per il breeding: il momento zero di una possibile nuova tradizione?’. L’evento, organizzato da Assoenologi e i Vivai Cooperativi di Rauscedo, ha visto il contributo di alcuni dei massimi esperti nazionali di genetica e arboricoltura.

Luigi Costantini  (presidente Assoenologi Marche)  ha sottolineato la necessità di far convivere i vitigni autuctoni, che devono rimanere protagonisti in vigna, con l’apertura alle innovazioni, che in questo caso sono frutto della collaborazione del lavoro tra istituti di ricerca e vivai italiani: un autentico Made in Italy di cui essere fieri.

La genetica come panacea per gli autoctoni italiani 


Il convegno è entrato nel cuore con l’intervento del professor Michele Morgante, ordinario di Genetica all’Università di Udine , che in una sorta di Lectio Magistralis (forse più adatta a un contesto universitario che divulgativo) ha sottolineato come l’addomesticamento delle piante sia stato già di per sé una opera di modificazione genetica, proseguito poi con le tecniche ben note dell’incrocio e delle selezioni clonali e massali.

Il lavoro svolto ha permesso, dopo 15 anni, di selezionare 15 varietà, partite da varietà classiche ripetutamente incrociate con viti asiatiche resistenti a oidio e peronospera . In queste nuove varietà il gene anti oidio e anti peronospera è stato trasferito per incrocio, e i risultati sono di notevole interesse. Per il futuro sarebbe auspicabile l’utilizzo della cisgenesi, ovvero il trasferimento di geni selezionati in alcune piante, modificate solo per la caratteristiche che si vogliono modificare: un lavoro che potrebbe essere molto più veloce e soprattutto selettivo.

La cisgenesi sarebbe inoltre molto utile per migliorare gli autoctoni italiani, organoletticamente molto interessanti ma spesso penalizzati da scarsa resistenza a oidio e peronospera, dunque poco sostenibili da un punto di vista ecologico. Il professor Morgante ha concluso che occorre avere fiducia nelle innovazioni in agricoltura tanto quanto ne abbiamo in quelle della medicina. In Italia usiamo varietà molto vecchie, difficili da sostenere da un punto di vista ambientale. Pensare di basare la nostra agricoltura solo su varietà antiche, senza miglioramento genetico, è da un punto di vista delle sostenibilità ambientale impensabile, soprattutto in chiave futura.

Guardare alla tradizione in prospettiva critica 


La professoressa Oriana Silvestroni, ordinaria di Arboricoltura all’Università di Ancona , ha posto il concetto di ‘tradizione’ sotto una prospettiva critica. ‘Il passato ci dice ciò che siamo, non ciò che dobbiamo necessariamente essere. Conservare il patrimonio delle vecchie varietàè fondamentale ma non basta. Il passato è una fonte straordinaria di racconti, ma non va preso per oro colato: se tanti vitigni erano dimenticati un motivo c’era. La viticoltura italiana attuale è figlia delle selezioni clonali operate sui vitigni individuati dalle commissioni agricole di fine Ottocento, in un periodo in cui l’Italia aveva la strada spianata dalla crisi del vino francese colpito dalla fillossera. Nel Duemila sarebbe utile fare un passo avanti’.

Basta con l’ideologia nel vino 

‘Basta con l’ideologia nel vino, che è un problema esclusivamente italiano. Altrimenti i francesi, che sono l’avanguardia più del Cile e della Nuova Zelanda, ci asfalteranno di nuovo. E basta con la storia del vino di una volta, raccontata spesso da persone che non hanno mai messo piede in un vigneto’, ha concluso Riccardo Cotarella, presidente nazionale Assoenologi .

‘Tutto nasce dalla falsa convinzione che la tipicità inerisca a un prodotto. La tipicità in realtà inerisce a un territorio, è un racconto: il prodotto di quel territorio deve modificarsi nel tempo ed è normale che succeda. La medicina e la fisica evolvono continuamente, anche la viticoltura e l’enologia devono farlo. La missione di noi enologi è proprio quella di portare la scienza in vigna e in cantina perché, ricordiamoci, il dramma del metanolo fu figlio dell’ignoranza’.

Alla prova di assaggio, alcuni dei vini prodotti da viti resistenti come i Sauvignon 2016 Nepis e Rytos e il Merlot Khorus 2016 hanno dimostrato una buona espressione varietale e una ottima piacevolezza, ma al momento sembra impossibile capire se siano adatti alla produzione di grandi vini di territorio e da invecchiamento.





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