Winegraft: ricominciamo… dalle radici

di Redazione 10/02/16
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Winegraft: ricominciamo… dalle radici

Negli anni ’80, all’Università di Milano, il gruppo di ricerca coordinato dal professor Attilio Scienza avvia uno studio sui portainnesti della vite e arriva a selezionare la nuova generazione di “portainnesti M”, capaci di tollerare la siccità e resistere a elevati tenori di calcare nel terreno.  

Nel 2014, grazie a Winegraft, riparte la ricerca e nel 2016 Vivai Cooperativi Rauscedo porterà sul mercato le prime 30 mila barbatelle dei principali vitigni italiani con “portainnesti M”. 

Se a fine 800, la selezione e diffusione dei portainnesti “su piede americano” ha salvato il vigneto europeo dalla fillossera avviando quella che chiamiamo “viticoltura moderna”, oggi, a distanza di oltre un secolo, una nuova, originale, ricerca tutta italiana sta aprendo la nuova era della “viticoltura post-moderna”. Al centro dell’attenzione sempre i portainnesti che, dopo oltre 100 anni dagli ultimi lavori scientifici sul tema, tornano al centro di una ricerca attivata dall’Università di Milano i cui risultati aprono alla viticoltura frontiere di sviluppo fino a ieri inaspettate inaugurando, nel contempo, un innovativo modello di rapporti tra ricerca e innovazione, università e mondo delle imprese.

“La crescente incidenza delle fitopatie – dichiara Attilio Scienza, animatore del progetto di ricerca – i cambiamenti del clima e le loro conseguenze, da un lato, sulla necessità di crescenti quantità di acqua per la coltivazione della vite e, dall’altro, l’estendersi dei fenomeni di salinità dei suoli, la necessità di ridurre e ottimizzare l’impiego dei fertilizzanti e, ancora, la diffusione della viticoltura in ambienti climaticamente  molto diversi da quelli europei, nonché le nuove esigenze di qualità da parte del consumatore, stanno evidenziando la sostanziale inadeguatezza dei portainnesti tradizionali ponendo la necessità di creare nuovi genotipi con caratteristiche migliori di resistenza agli stress biotici e abiotici”.

Nonostante la consapevolezza dell’importanza della scelta del portinnesto per l’adattamento delle piante alle diverse condizioni ambientali e quindi per la buona riuscita di un vigneto, la ricerca in questo campo si era sostanzialmente fermata agli inizi del '900, tempi in cui l’obiettivo principale del miglioramento genetico era la resistenza alla fillossera, al quale si sono aggiunti successivamente obiettivi di resistenza al calcare e alla siccità. Ancora oggi sono largamente utilizzati alcuni portinnesti selezionati tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, nonostante la viticoltura nel tempo si sia radicalmente trasformata.

La frenetica attività di miglioramento genetico che si sviluppò a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, incalzata dalla necessità di ottenere rapidamente dei portinnesti resistenti alla fillossera e tolleranti al calcare attivo presente in quantità elevate in molte zone viticole europee, puntò su poche specie pure e, all’interno di queste, utilizzò solo qualche individuo tralasciando di valutare la grande variabilità che ogni specie presentava. Nella valutazione dei portinnesti che venivano via via proposti per il rinnovo dei vigneti, si teneva naturalmente conto delle caratteristiche della viticoltura del tempo spesso consociata, strutturata cioè con tutori vivi o caratterizzata, al contrario, da alte fittezze d’impianto e quindi con basse produzioni/ceppo.

Oggi, le diverse esigenze espresse da nuovi modelli viticoli, le conseguenze determinate dal cambiamento climatico sulla fisiologia della pianta e l’estendersi di fenomeni di salinità dei suoli, hanno evidenziato la sostanziale inadeguatezza dei portinnesti tradizionali e la conseguente necessità di creare nuovi genotipi aventi altre caratteristiche di resistenza. Al miglioramento delle doti di adattamento è inoltre necessario associare al portainnesto anche la capacità di ridurre gli input energetici quali l’impiego di fertilizzanti e acqua di irrigazione, rispondendo alle esigenze dei viticoltori che richiedono una viticoltura a maggior sostenibilità ambientale e minori costi di gestione.

Per tutte queste ragioni, agli inizi degli anni ’80 un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano coordinati dal professor Attilio Scienza, avvia una ricerca orientata ad ottenere portainnesti migliorativi rispetto a quelli utilizzati, capaci di tollerare la siccità e resistere ad elevati tenori di calcare attivo nel terreno, raggiungendo nel giugno del 2014 l’ambizioso obbiettivo di iscrivere ben 4 nuovi portainnesti nel Registro Nazionale delle varietà. “Il cammino per arrivare alla valutazione delle caratteristiche agronomiche tali da giustificare l’inserimento dei nuovi portinnesti nel Registro nazionale è stato molto lungo – ricorda Scienza – All’inizio siamo partititi con spirito pionieristico, poche risorse e, quindi, limitate possibilità di valutare i risultati della sperimentazione. La ricerca marciava molto a rilento fino a che, nel 2010, arriva un finanziamento importante attraverso il Progetto Ager Serres, supportato da un consorzio di Fondazioni bancarie: il progetto di ricerca si allarga da Milano alle università di Padova, Torino e Piacenza, al CRA Vite di Conegliano e alla FEM di S. Michele all’Adige e i lavori subiscono una forte accelerazione che ci porta, in soli 3 anni, alla valutazione finale di questi 4 portainnesti – chiamati della “serie M” da Milano, sede dell’Università promotrice del progetto – per giungere, quest’anno, alla loro iscrizione nel Registro nazionale delle varietà”. A quel punto, si poneva la necessità di trasferire al mondo produttivo i risultati della ricerca, diffondere tra le aziende questi portainnesti che avevano mostrato in diversi ambienti performance nettamente superiori rispetto a quelli commerciali, e, nel contempo trovare nuove risorse per portare avanti la ricerca. Serviva cioè un partner commerciale e imprenditoriale in grado di saldare quel gap tra ricerca e mercato che rimane una dei grandi problemi irrisolti del nostro Paese.

L’anello mancante arriva presto: in meno di tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei nuovi portainnesti, 9 aziende vinicole di primaria importanza (Ferrari, Zonin, Bertani Domains, Albino Armani, Banfi, Nettuno-Castellare, Cantina Due  Palme, Claudio Quarta vignaiolo e Cantine Settesoli), che rappresentano le principali regioni viticole italiane dalle Alpi alla Sicilia, danno vita – insieme ad una società di supporto, la Bioverde Trentino e alla Fondazione di Venezia – a Winegraft, società nata con lo scopo di supportare la diffusione dei risultati della ricerca e finanziarne la prosecuzione. Sul piatto, mezzo milione di euro, che le aziende hanno messo a disposizione delle Università per i prossimi anni del progetto che ha di fronte un planning di sviluppo fino al 2030.





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