Vini naturali, un déjà vu

di Riccardo Viscardi 09/01/18
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Vini naturali, un déjà vu

Un mondo variegato quello dei cosiddetti vini naturali, dove accanto a vini interessanti e molto buoni ci sono anche vini difettati, vuoi per ingenuità, vuoi per ignoranza, vuoi per presunzione.

L’idea di partecipare a una manifestazione dedicata ai cosiddetti “Vini Naturali”è dovuta alla mia curiosità. Ho fatto un paio di telefonate e ho trovato una cara persona che li segue da tempi “non sospetti” e quindi molto aggiornata su questo movimento talvolta a me incomprensibile, sia nei componenti che nella finalità; anche il nome non significa nulla. Il vino non è un prodotto naturale, nel senso che è stato creato dall’ingegno dell’uomo . In natura se spremo uva e la lascio li, se sono fortunato diventa aceto. Ma non volendo polemizzare mi sono recato alla degustazione con grande serenità, corroborato dal fatto che alcune aziende presenti le conoscevo e fanno vini buonissimi.

In realtà mi sono divertito tantissimo, trovandomi catapultato in una realtà che un paio di decenni fa era la norma. I discorsi di alcuni produttori erano già stati sentiti  era come vivere in un déjà vu, con la consapevolezza che una volta uscito da questo “tempo sospeso” tutto sarebbe rientrato nella normalità. Insomma sembrava la trama di Goodbye Lenin, un divertente film degli anni '90.

Vini interessanti e molto buoni ci sono ovviamente ma è il resto che fa sorridere.  Alcuni esempi significativi: produttrice di sauvignon zona Friuli, davanti alle nostre facce perplesse ci chiede cosa non ci convince, alla nostra risposta che l’aspetto olfattivo non identificava il vitigno la sua risposta è stata: il problema è vostro, siete abituati a vini che sono artefatti e la procura li ha smascherati (non è vero ma lasciamo perdere). Peccato che la signora non conoscesse i vini di Dagenau, di Cloudy Bay, e neanche quelli di Vie di Romans e Volpe Pasini. Tanto per ricordare alcuni vini che hanno e fanno la storia del sauvignon in Friuli e nel mondo. Grazie a Dio conosceva Venica e Venica. Tipico atteggiamento pauperista degli anni ottanta.

Altro atteggiamento tipico è quello del fenomeno autoreferenziale : commercialmente bravissimo, vino carissimo, ma l’utente non deve sapere nulla di come sia fatto. Il concetto? vitigni e territori sono inutili e assolutamente desueti, devi apprezzare il vino come estraneazione concettuale della tua propensione all’alcool. Della serie giovani fenomeni naturali.

Poi ci sono i consapevoli . Un esempio per tutti: piccola azienda piemontese con vini interessanti con una leggera volatile. Il giovane proprietario ammette la cosa: "in effetti la mancanza di controllo di temperatura in fermentazione può generare alcuni problemi ma sto provvedendo, perché non si può rovinare il lavoro di un anno nella vigna, per dei dettagli". Una persona che farà strada.

Insomma un mondo antico più o meno consapevole e con qualche “furbetto del quartierino” ma anche con grandi professionalità, note e meno note. Tra le ultime mi preme segnalarvi alcune aziende. Cascina Fornace , Piemonte, con il Viscà (17 euro) da uve nebbiolo da zone sabbiose del Roero; vini Quantico  dell'enologo Pietro Di Giovanni, dall'Etna, e un laziale interessante come Andrea Occhipinti .

Il concetto è semplice: ben venga una grande attenzione al territorio, sensibilità verso l’ambiente e un prodotto migliore che nel passato. Ma allora perchè non fare biologico o biodinamico , che hanno protocolli abbastanza rigorosi? inoltre non si può usare questa zona franca senza nessun controllo come “foglia di fico” per giustificare cattive pratiche di cantina e vini sintatticamente sbagliati.

Un'ultima chicca. Alla domanda: "che botti usa?" la risposta quasi standard era: "botti vecchie". Alla mia replica che chiede in quelle nuove che vino ci mette, la risposta di uno è stata: “ io non uso botti nuove, le compro usate da Tizio”. Già perchè Tizio ti vende le botti buone e che ancora funzionano, poveri ingenui! poi si meravigliano se il vino sa di cassapanca chiusa.





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