Tristezze barolistiche

di Riccardo Viscardi 22/06/17
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Tristezze barolistiche

La tristezza deriva dal constatare l’immobilismo culturale che ha invaso le Langhe, con il risultato che - salvo poche eccezioni - i vini sembrano tornati indietro di trent'anni.

Quest’anno c’erano grandi novità alla manifestazione Nebbiolo Prima: le giornate ridotte a tre, nessuna retrospettiva su annate precedenti, i produttori potevano presentare solo un vino per denominazione. Nonostante ciò ogni mattina si degustavano 100 nebbioli tra Barolo, Barbaresco e Roero, ma anticipare la manifestazione di oltre 1 mese non ha giovato ai vini che dell’affinamento in bottiglia hanno bisogno.

Notizie molto positive sono arrivate dall’annata 2013 dei Barolo  che si manifesta in tutta la sua bellezza con tanti vini interessanti e molte vette. Il Barbaresco 2014  è spesso gradevole e talvolta anche accattivante con una beva equilibrata, meglio del previsto . Ma le riflessione più importanti e talvolta imbarazzanti provengono dalle visite in cantina. La prima riflessione riguarda il proliferare delle menzioni geografiche in etichetta . Sarebbero l’equivalente dei cru dei "cuginastri" francesi, ma a differenza di questi non c’è una classificazione verticale ufficiale . La conseguenza è che molte di queste menzioni sono poco significative, se non illusorie, e generano una confusione sul mercato a lungo termine, tanto più che sono soprattutto i “commerciali” delle aziende a spingere sulla massima diversificazione più di enologi e agronomi che sarebbero più prudenti sulle singole vinificazioni. Si giunge così all'assurda situazione che neanche i titolari di alcune aziende riescono a riconoscere nel vino la menzione di provenienza. Imbarazzante.

L’altra considerazione è l’immobilismo culturale che ha invaso le Langhe . Questo luogo per 3 decenni è stato punto di ricerca avanzato, con tante nuove idee sulla conduzione del vigneto, sulle macerazioni, sulle fermentazioni che hanno dato vini e notorietà a tanti piccoli produttori ormai affermati in tutto il mondo. Questa vena propulsiva generalizzata si è arrestata, anzi viene quasi vissuta da molti con vergogna e imbarazzo. Ormai esiste solo una restaurazione su tre mantra che sembrano imposti dall’alto, lieviti autoctoni (quali sarebbero però nessuno lo sa), botti grandi semplicemente per dire no barrique e no tonneau, e ultimo ritrovato: macerazione a cappello sommerso con una corsa a chi lo fa per più tempo.

Alla domanda spontanea: per quale motivo fai questo? Che miglioramenti pensi di portare nel vino? La devastante risposta in tanti casi è: “lo faceva mio nonno, è la tradizione”. Non uno straccio di argomento programmatico o scientifico. Che tristezza. I vini, sebbene di buona qualità, tendono quindi ad assomigliarsi tutti  con colori sempre più scarichi, e questo conta poco, e con olfatti sempre più evolutivi su note già tendenti al terziario, fiori secchi e note di melograno e cocomero dimenticandosi chissà dove la prugna gialla e viola, il floreale turgido di rose e viole che tanto definivano i vari cru storici, scusate menzioni geografiche.

Come sia potuto accadere tutto ciò non lo so spero sia solo un momento, un colpo di coda delle forze oscure che ambientano le Langhe con atteggiamento da guru e da detentori del sapere assoluto. Per fortuna c’è chi non si piega a tutto ciò e continua per la sua strada di ricerca iniziata 30 anni fa e fa proseliti. La resistenza è in atto e la ringraziamo per i grandi vini che fa.

 


A margine invece vorrei ricordare come la ristorazione nelle Langhe sia sempre eccellente , con rapporti qualità-prezzo-porzioni sempre a vantaggio del commensale. Cantine interessantissime e con profondità di annate, le cucine che - dalla tradizionale osteria allo stellato - fanno leva su una solidissima tradizione con note fusion limitate e sempre geniali, le croccantezze, usate con molta parsimonia ed equilibrio. Insomma nessuna delusione e tutto con grande equilibrio. A tal proposito volevo segnalare La locanda del Pilone , poco sopra Alba, in località Madonna di Como, 34 (tel. 0173 366616), guidata dal giovane chef Federico Gallo coadiuvato in sala da Sofia Brunelli maitre e Marco Loddo sommelier.

Mi sono riservato per la conclusione un paio di osservazioni "tecniche" sulla manifestazione. La compresenza dell'evento Grandi Langhe permetteva, a chi volesse, di andare a trovare nel pomeriggio i produttori ai classici banchetti di assaggio dislocati nei vari comuni e con dei focus diversi e molto territoriali. Bella idea, ma come si fa a degustare altri sessanta Nebbiolo o Dolcetto o Barbera arrivando al totale di 160 vini mantenendo lo stesso parametro di giudizio della mattina in condizioni ambientali totalmente diverse? Quindi ho preferito girare per aziende singole previo appuntamento, una soluzione adottata anche da altri colleghi.

La degustazione del mattino era organizzata perfettamente con servizio celere e attento. I vini a temperatura ideale e le postazioni comode e con ottima luminosità. Auspichiamo la possibilità di assaggiare più vini della stessa azienda aumentando le ore di degustazione seduta, onde poter completare il lavoro sulle aziende. Purtroppo un piccolo problema è rappresentato dal Roero che si ostina a presentare le annate già recensite nella nostra e in altre guide rendendo praticamente inutile la degustazione.





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