Il lato terragno della Campania, il Sannio Beneventano
A spasso per il Sannio Beneventano per scoprire un territorio vocato alla viticoltura e alla cooperazione, dove viene prodotta quasi la metà del vino campano.
Un invito inaspettato in una regione sempre accogliente e solare. Stavolta scopro il volto più riservato della Campania, lontano dal mare, più terragno e pervaso da un fascino appuntito e possente. È il Sannio beneventano, area che da sola produce circa il 50% del vino dell’intera regione. Geometrie rocciose fatte di sfondi innevati, monti aguzzi e colline, luoghi in cui la natura, se vuole, forgia gli animi intervallando il suo volto di madre e matrigna. Ma i Sanniti hanno poco a che fare con l’islandese di leopardiana memoria. Popolo di guerrieri, rispondono con forza ai capricci della natura, come hanno dimostrato durante l’ultima alluvione che ha sepolto cantine e tante bottiglie di aglianico e falanghina.
Geograficamente il Sannio confina a sud con l’Irpinia, a nord con il Molise, a est con la Puglia e a ovest con il Casertano. Nella valle del Calore si concentra la maggior parte della produzione vitivinicola, fatta di vigneti variegati, viti secolari e borghi che trasudano la loro autentica unicità.
Attraversare il Sannio a bordo di un pullmino è un modo per riempirsi gli occhi di paesaggi nuovi, profumi e sapori. È gente sorridente quella che vive qui, accogliente e affettuosa, a cominciare dal trittico del consorzio – il presidente Libero Rillo, il direttore Nicola Matarazzo, l’ufficio stampa Pasquale Carlo – che ci ha accompagnato per mano a spasso per il territorio.
Nel beneventano viene prodotto circa il 49% del totale del vino campano e la produzione si basa con forza sul concetto di cooperazione. Ben 4 le cooperative. La prima, La Guardiense , nasce nel 1960 e conta 1500 ettari e 1000 soci. Subito a seguire nasce quella di Solopaca , nel 1966, con 600 soci e 1300 ettari di vigneto e ancora nel 1976 quella del Taburno, più piccola, con 300 soci e 600 ettari. L’ultima nata èVigne Sannite che vede la luce nel 2005, a confermare la vocazione cooperativa del territorio con altri 300 soci e 500 ettari di vigna.
Una semplificazione è stata attuata a livello di denominazioni e oggi, insieme alla docg Aglianico del Taburno, convivono le due Doc Falanghina del Sannio e Sannio, oltre alla Igp Benevento.
Vitigni principe della zona sono ovviamente aglianico e falanghina ma vitigni “minori” come coda di volpe e piedirosso raggiungono ormai ottimi risultati e fotografano un territorio che ha virato nella giusta direzione, privilegiando sempre più la qualità rispetto alla quantità del passato. Curiosa anche nella sua omonimia è la barbera del Sannio che, appunto a parte il nome, poco ha a che fare con la più conosciuta barbera piemontese. Qui siamo di fronte a un vitigno a bacca rossa dalla grande aromaticità, che per certi versi ricorda un aleatico e avvolge con il suo balsamico caleidoscopio di intensi profumi. Un vitigno interessante ma dal nome fuorviante che, secondo voci di corridoio, sarà– giustamente – modificato a breve per caratterizzarlo nella giusta maniera.
Tornando alla falanghina il percorso si conclude dove è cominciato. Arriviamo a Sant’Agata dei Goti, uno dei Borghi più belli d’Italia, alle pendici del Taburno, a strapiombo su una roccia di tufo che al tramonto propone il suo massimo spettacolo. Vicoletti stretti, suggestivi palazzi dal fascino antico e una cantina scavata nelle viscere del paese, che custodisce tante vecchie bottiglie. Siamo da Mustilli, e qui troviamo la prima falanghina imbottigliata della storia. Annata 1979.
Infine è tempo di una “lezione” sulla pizza napoletana, maestro d’eccezione Gino Sorbillo, che meriterà un approfondimento a parte, e del binomio pizza & falanghina, matrimonio regionale rilanciato dal Consorzio del Sannio per consolidare ancora di più il legame forte tra vino, cibo e cultura enogastronomica in Campania.