Quel genio di Isi Benini

di Daniele Cernilli 09/08/17
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Quel genio di Isi Benini

Isi Benini, friulano, era un mattatore, ironico, spiritoso, di enorme competenza sul piano enogastronomico.

Parlando con i giovani che si affacciano in questo nostro settore, mi accorgo che molti di loro non conoscono un uomo che fu davvero importante per questo mondo, in particolare se parliamo di Friuli: Isi Benini, che scomparve a soli 65 anni nel gennaio del 1990.

Considerando che ormai sono uno dei vecchi e quindi testimoni di una grossa fetta della recente storia del vino italiano, mi sento quasi obbligato - ma con piacere - a ricordarne i protagonisti, e tra questi non può mancare Isi Benini, figura fondamentale per l’enogastronomia regionale e non solo. Capo redattore della Rai di Udine fin dal 1971, ma soprattutto ideatore e direttore della rivista Il Vino, forse la più bella pubblicazione enologica di quei tempi, dove anche il sottoscritto mosse i suoi primi passi, professionalmente palando.

Isi me lo aveva fatto conoscere Veronelli al congresso dell’Ais del 1980, che si svolse proprio in Friuli, tra Lignano e Udine. Gli disse che ero una giovane promessa e un suo allievo e gli chiese, quasi gli impose, di farmi scrivere sulla rivista che dirigeva. Tra i due c’era una grande complicità, e Isi accolse di buon grado la proposta e iniziò la collaborazione. “Non provare a scrivere come Veronelli o come Gianni Brera, quelli sono dei fenomeni, non si possono copiare perché hanno uno stile personale e inconfondibile. Scrivi come se dovessi far capire il testo a chi di vino non ne sa nulla, e scrivi in modo semplice, con frasi brevi.” Fu la prima raccomandazione che mi fece e devo confessare che poche volte un consiglio mi è stato più utile.

Ma Isi, lo scopersi dopo, era un grande maestro di giornalismo, non solo un ottimo conoscitore di vini friulani. Sapeva di sport, di arte, di letteratura, scriveva con un’efficacia incredibile di qualunque argomento, con una prosa asciutta, essenziale, ma non per questo scarna o poco elegante. Poi sapeva andare in video, cosa rara a quei tempi per un giornalista della sua generazione. Indro Montanelli, ad esempio, che era uno dei suoi ispiratori, è sempre stato molto più efficace sulla carta stampata che in televisione, dove una leggera balbuzie lo rallentava. Per non parlare di Giorgio Bocca, molto scarso in tivù. Invece lui era un mattatore, ironico, spiritoso, di enorme competenza sul piano enogastronomico.

 

Mi prese a benvolere e m’insegnò le basi del mestiere, che ricordo ancora oggi. Da considerare che io avevo 25 anni e lui 55. Poteva essere mio padre, e in qualche modo lo fu relativamente alla professione giornalistica. Nel 1989 iniziò a collaborare con il Coni e la Federcalcio per l’organizzazione dei campionati mondiali di calcio di Italia ’90, quelli delle “notti magiche” della Nannini e di Bennato. E mentre era a Montevideo per contatti con la federazione dell’Uruguay, fu stroncato dal ripresentarsi della malaria che aveva contratto in Kenia anni prima. Morì come Coppi, con i medici che scambiarono la malattia per un infarto e lo curarono per quello. Pochi giorni dopo avrebbe dovuto ritirare il premio Risit d’Aur dai Nonino, suoi grandi amici. Gli era stato assegnato per i tanti meriti che aveva avuto nel valorizzare la cultura materiale del suo amatissimo Friuli.

Lo voglio ricordare a tutti perché temo che della su straordinaria opera ormai si stiano perdendo le tracce, e questo non è proprio possibile per quel genio generoso e travolgente che fu il grande Isi Benini.





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