I nemici del tiolo

di Daniele Cernilli 13/06/16
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I nemici del tiolo

Viviamo in un mondo di pensieri deboli e di opinioni forti, disse qualche anno fa lo scrittore Raffaele La Capria. Un’affermazione sintetica e felice che descrive bene il tenore di tante discussioni (non tutte per fortuna) che si fanno oggi su tanti argomenti.

Nel mondo del vino accade in continuazione, rame sì o rame no, santi i lieviti autoctoni, demoni quelli selezionati e via così. Spesso affrontando argomenti che andrebbero trattati con un minimo di conoscenze scientifiche, e non solo con le proprie opinioni “forti”.

Una delle ultime è quella sui tioli. Cosa siano esattamente lo sa con precisione solo chi si occupa di chimica organica e di enologia, molto meno chi non pratica quelle discipline. Nella fattispecie i tioli sono sostanze della famiglia dei mercaptani, presenti già nell’uva prima della vinificazione, come anche i terpeni dei quali sono parenti. Mercaptani positivi, ovviamente, non di quelli che hanno odori terribili, sulfurei, e che pure esistono. I più diffusi sono il pentanon mercaptano e il mercapto esanolo, responsabili, se mantenuti nel processo di vinificazione, di profumi precisi. Più vegetali e “selvatici” nel caso del primo (bosso, foglia di pomodoro, anice, pompelmo), più aromatici e fruttati nel secondo (frutto della passione, mango, pesca gialla).


Essendo parte integrante del patrimonio di molte varietà di uve, dal sauvignon blanc al vermentino, dal pecorino al timorasso, dal grillo al carricante, anche se in diverse concentrazioni, mantenerli con i loro effetti anche dopo la fermentazione sembrerebbe cosa positiva. Il fatto è che la pratica è difficile, bisogna evitare qualunque fenomeno ossidativo, tenere mosti e vini lontano da fonti di luce. Niente legno, niente vinificazioni sulle bucce. Anzi, vinificazione “in riduzione” come ricorda sempre Denis Douburdieu, professore di enologia a Bordeaux e consulente di grande valore, considerato oggi il vero genio del vino a livello mondiale.

Proprio questo fatto, e cioè il dover usare alcune accortezze di carattere fisico, e non chimico, in vinificazione, e raccogliere le uve mature ma non surmature o non completamente sane, apre scenari polemici. C’è chi, ed io sono fra loro, ritiene che sia doveroso mantenerne la presenza, che arricchiscono il patrimonio olfattivo e che, essendo esaltati da una viticoltura qualitativa e selettiva, siano l’effetto del recupero attraverso tutto questo di antichi caratteri dell’uva, sopiti nel tempo per colpa di alte rese e di impianti votati alla massima produzione possibile. Uno scenario che fra gli anni Trenta e gli anni Settanta del secolo scorso ha letteralmente devastato la vitienologia italiana. C’è invece chi teme una sorta di omologazione fatta di profumi molto nitidi e riconoscibili e di una completa assenza di elementi ossidativi nel vino. Come se questi ultimi non fossero una ben più pesante e meno piacevole fonte di omologazione. Tra mercapto esanolo e acetaldeidi o elementi ossidativi, io preferisco il primo, e per questo sarei contrario a una presunta “naturalità” dei vini.

L’evidenza dei fatti, anche in senso di “naturalità” suggerirebbe il contrario, ma l’attuale vulgata, opinione forte perciò, tralasciando ovviamente ciò che la scienza enologica sostiene, d’accordo col sottoscritto, ci critica e ci addita al pubblico ludibrio.

Io inviterei tutti a pensarci su, e intanto mi bevo uno Sterpi 2013 di Walter Massa, pieno zeppo di tioli.





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