Si fa presto a dire Pinot nero

di Daniele Cernilli 20/06/16
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Si fa presto a dire Pinot nero

Come molti appassionati di vino anch’io amo alcuni vini di Borgogna. I Grand Cru e i Premier Cru di una ventina di vigneron, di negociant e di eleveur, da Rousseau a Trapet, da Lignier a Roumier, dai meravigliosi vini del DRC a quelli di Leroy, e per i bianchi quelli di Coche Dury, della compianta Anne Claude Leflaive, e di Dominique Lafon. Per comprenderli a fondo ci sono voluti anni, visite in cantina e nei vigneti, sacrifici per acquistarne qualche bottiglia. Poi studio della zona, lettura dei testi di Coates e di Peppercorn, persino con l’imparare i nomi e le caratteristiche fondamentali dei vigneti.

Così quando qualcuno mi propone di discutere su qualche tema che riguardi i vini di Borgogna, e della Cote d’Or in particolare, gli chiedo di citarmi tutti i Grand Cru, come una volta mi fece fare Eric Rousseau prima di farmi assaggiare i suoi vini in cantina. E per non incorrere nello stesso errore che feci io intervistando Madame Lalou Bize Leroy, iniziando dicendole “ma lei che è una delle più grandi interpreti di Pinot nero…”. Lei mi bloccò subito replicando che doveva esserci un misunderstanding (l’intervista avveniva in inglese). “I never did Pinot noir. I did Romanée Conti, La Tache, Richebourg. The Americans do Pinot Noir, in Oregon and in California, not me”. Mi sentii un cretino e da allora cerco di non cascarci più. Zone e vigneti, per lei erano assai più importanti e decisivi della varietà.

Perciò quando si parla di Borgogna è doveroso conoscerli alla perfezione. Bisogna sapere che a Gevrey Chambertin ci sono lo Chambertin, lo Chambertin Clos de Beze, e poi Chapelle, Charmes, Griotte, Latricieres, Mazy e Ruchottes, tutti seguiti da Chambertin. Che a Morey Saint Denis ci sono i Clos Saint Denis, de Tart, de Lambrays e de la Roche. E via così. Non è così difficile ricordarli tutti, soprattutto se si è stati lì, ed è doveroso farlo per non passare per bevitori distratti e conoscitori approssimativi. Poi è bene sapere che Gevrey Chambertin è la patria dei rossi più impegnativi e corposi, mentre a Vosne Romanée i vini sono più eleganti ed equilibrati. Infine è bene sapere alla perfezione il valore delle singole annate, quasi sempre diverso tra bianchi e rossi.

Questo solo per iniziare, perché poi i dati relativi a produttori, sottozone, andamenti climatici, saranno fondamentali per orientarsi nel complesso intreccio che è alla base del fascino di quei vini, e anche per comprendere che parecchi vini provenienti da una zona così difficile per la viticoltura, non sono affatto così elitari e qualitativamente validi, anzi, la possibilità d’imbattersi in vini mediocri è addirittura più alta di quanto accade in alcune regioni minori d’Italia. In questo ci aiuta il sistema delle denominazioni, molto preciso nell’attribuire meriti e pregi, ma anche molto complesso.

Perciò, se assisterete, come è capitato a me, a lodi sperticate per un vino denominato semplicemente Borgogna o Pinot Noir o Chardonnay proveniente da quella regione, e prodotto magari da una cantina famosa, sarà come sentire persone che impazziscono per le mutande di Armani e non per i suoi vestiti d’alta moda. A ciascuno il suo.

 

 





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