Sassicaia e Tavernello

di Daniele Cernilli 05/03/18
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Sassicaia e Tavernello firmato doctorwine daniele cernilli editoriale

Il bello del mondo vino è anche quello di proporre un’offerta varia e differenziata come forse nessun’altra tipologia di prodotti alimentari.

Il rischio di chi è molto appassionato di vini è quello di sottovalutare l’aspetto del rapporto fra qualità e prezzo, che è invece uno degli aspetti fondamentali per moltissimi consumatori “normali”. Alcuni anni fa una nota azienda di ricerche di mercato fece una serie di interviste a chi usciva dai supermercati chiedendo quale fosse il prezzo massimo che avrebbe voluto pagare per l’acquisto di una bottiglia di vino. L’86% del campione rispose che era 5 euro. Solo il 14% era disposto a pagare di più.

Non credo che le cose siano cambiate di molto allo stato attuale. Questo vuol dire che quando si parla, si scrive, si litiga sul web riguardo a vini che costano magari più di 20 euro, stiamo facendo tutto questo riferendoci a una fascia di consumi molto piccola e non alla maggior parte del vino venduto o esportato.

A proposito, il dato globale sul fatturato complessivo del vino italiano dice che a fronte di una media di produzione che negli ultimi cinque anni è stata più o meno di 45 milioni di ettolitri, il fatturato si attesta intorno ai 15 miliardi di euro. Il che vuol dire che un litro di vino vale in media poco più di tre euro. In Francia il dato è di circa 5,50 euro, tanto per fare un paragone, ma in Spagna non arriva a due. Siamo posizionati abbastanza bene, insomma, anche se il dato a una lettura immediata non sembra esaltante e non costituisce una notizia molto positiva per chi fa vino e da esso deve ricavare il proprio reddito. La realtà però è questa e c’è poco da stracciarsi le vesti.

Ci sono anche degli esempi molto negativi. Vini venduti a prezzi molto bassi, da industriali, cantine cooperative con pochi scrupoli, e acquistati da catene di hard discount o da importatori d’assalto, che fanno marketing solo con il prezzo. Se questo può essere concepibile per vini senza particolari denominazioni, magari confezionati in brik o in bag in box, frutto di produzioni intensive di pianura e senza particolari pretese, la cosa è molto più grave se si riferisce invece a prodotti con denominazioni specifiche e note.

I casi di un Soave e di una Barbera d’Asti venduti a prezzi molto bassi è stato di recente commentato in modo giustamente negativo da più parti anche qui su DoctorWine. Di certo si tratta di fenomeni che abbassano l’immagine di intere aree produttive, ma sono anche il risultato dell’immagine non sempre adeguata che certe Doc o Docg hanno sul mercato, e anche questo è un problema non piccolo.

Un fenomeno legato a promozioni non efficaci o inesistenti, a un eccesso di burocratismo e talvolta di provincialismo, a vere e proprie speculazioni sulla pelle di viticoltori che spesso riescono a resistere solo perché hanno altre entrate per vivere. Brutte storie, insomma, che esistono da sempre e che fanno a pugni con la pomposa e retorica citazione di svariate e inesistenti “eccellenze” alle quali il mondo politico di ogni colore ci ha abituato negli ultimi anni.

Morale della favola, se i consumatori vorrebbero buoni vini a prezzi bassi, i viticoltori hanno bisogno di un reddito agricolo e non si può arrivare a strozzarli pena l’abbandono delle loro attività, un fatto che penalizzerebbe tutto, ambiente, paesaggi, tradizioni e qualità dei consumi.

Allora bisogna ragionare, evitare di deprimere denominazioni di prestigio con prezzi troppo bassi, innanzi tutto, ma neanche demonizzare troppo i vini che invece hanno come loro ragion d'essere quella di soddisfare una fascia di mercato, quella da un paio di euro il litro, che esiste in tutto il mondo ed è anche molto ampia.

Il bello del vino è anche quello di comprendere tanto Sassicaia quanto Tavernello, insomma, con un’offerta varia e differenziata come forse nessun’altra tipologia di prodotti alimentari. E questo, a mio parere, è un fatto positivo.





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