Non ci sono più le grandi annate?

di Daniele Cernilli 03/12/12
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Non ci sono più le grandi annate?

Ormai sfioro i sessant’anni e da più di trenta mi occupo di vino. Mi ricordo gli andamenti climatici di molte vendemmie, a partire almeno dal 1978, e per sentito dire fin dai primi anni Settanta. Spesso l’uva invaiava a metà agosto e la raccolta iniziava verso la fine di settembre per varietà come il sangiovese, ma anche più tardi per nebbiolo ed aglianico. Nel 1995 si sfiorarono i primi di novembre per molte uve rosse tardive, persino con un po’ di neve in vigna nelle zone preappenniniche. Le grandi annate erano così, tardive, soleggiate, soprattutto fra settembre ed ottobre. Un po’ di siccità estiva nel centro-sud, una settimana a 32/35° fra luglio e agosto, ma niente di estremo. I Barolo, i Brunello a 14° erano delle eccezioni. Forse nell’85 si arrivò a dati di quel genere. Ma nelle annate “normali” i grandi vini avevano gradazioni fra i 13° ed i 13,5°. Dal 1997 almeno, i cambiamenti climatici, il riscaldamento globale, stanno avendo effetti evidenti anche sulla viticoltura. Le annate molto calde, quasi tropicali, si fanno sempre più frequenti. Il 2000, il 2003, il 2006, il 2007, in parte il 2009, il 2011 ed il 2012, cioè esattamente la metà delle ultime sedici, sono vendemmie con maturazioni anticipate, calore e siccità estive, vini con gradazioni alcoliche più elevate del normale. Alcune di esse hanno dato risultati anche interessanti, talvolta molto buoni, come nel 2006. Ma di certo le caratteristiche generali dei vini sono in molti casi cambiate, e zone che un tempo venivano considerate di minor valore per la difficoltà che le uve avevano in fase di maturazione, oggi sono state ampiamente rivalutate. Così come vigneti che in passato erano fra i più prestigiosi, ora corrono il rischio di produrre uve che vanno facilmente in surmaturazione. Un cambio di prospettiva al quale bisogna adeguarsi, se si vorrà continuare a produrre vini equilibrati. Sarà necessario che le irrigazioni di soccorso siano autorizzate in modo chiaro. Che alcune tecniche viticole siano riviste. Che persino alcuni impianti siano sostituiti e che le potature vengano effettuate tenendo presente questa nuova situazione. Questo per riuscire a non avere vini troppo alcolici, troppo poco acidi e con tannini aggressivi. D’altro canto tutto ciò aprirà prospettive nuove a zone che finora non erano state considerate valide per la viticoltura di qualità. Abbiamo esempi internazionali emblematici, in Inghilterra, persino in Norvegia. Da noi le nuove frontiere potrebbero essere nel Casentino, in Alta Langa, in Val di Cembra, ad esempio. Dove c’è già viticoltura, ma non così diffusa come potrebbe essere in un domani neanche tanto distante.

E le grandi annate? Anche per loro dovremo cambiare punto di vista. Il 2010 è considerata un’ottima annata in Italia ed anche in Francia, in particolare in Borgogna. E’ stata una vendemmia abbastanza fresca, non certo siccitosa come il 2012. Ma ha dato vita a vini equilibrati e probabilmente longevi. Nel 2011 il sole splendeva, la vendemmia è stata un po’ dovunque anticipata, i vini sono risultati piacevoli nell’immediato, ma forse non saranno così adatti all’invecchiamento. Questo in termini molto generali, ovviamente. Però sono cose che fanno pensare. Dario Cappelloni nel suo recente articolo sulla Borgogna ha sostenuto la superiorità del 2010 sul 2009, grande vendemmia classica, se vogliamo meno tipica per quella zona, ma che ha fatto gridare alla grande annata proprio per l’intensità e la ricchezza di molti vini. Ma tra dieci anni cosa accadrà? Probabilmente che molti 2009, ottimi mezzofondisti di potenza, avranno terminato la loro fase ascendente e quasi tutti i 2010 si prenderanno grandi rivincite. E allora ci sarà da chiedersi quale delle due è stata davvero una grande annata.





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