L’inflazione delle eccellenze

di Daniele Cernilli 04/02/13
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L’inflazione delle eccellenze

Uno degli aspetti francamente noiosi e retorici della politica italiana quando si parla di agroalimentare è l’uso pletorico e fastidioso della parola “eccellenza”. E se un tempo si usava solo per definire gli ambasciatori oggi tutto diventa “eccellenza” se serve a condire discorsi vuoti di contenuto, come se una parola del genere, quasi per magia, facesse diventare sostanza ciò che invece spesso è solo un politichese povero e ripetitivo. Le eccellenze nel settore dell’agroalimentare, e del vino in particolare, sono in genere poche e ben conosciute. Neanche tutti i vini a Docg sono “eccellenti”, nonostante la legge, al suo esordio, condizionasse l’attribuzione della massima fra le denominazioni italiane solo ai vini riconosciuti di “particolare pregio”. Si partì abbastanza bene, con Barolo, Barbaresco, Brunello di Montalcino e Vino Nobile di Montepulciano. Poi arrivarono il Chianti, l’Albana di Romagna, l’Asti e tanti altri vini che non sono di per sé malvagi, ma che con difficoltà si possono definire “eccellenze”.

Forse il Legislatore ha ritenuto di dover tutelare larghe fasce di consumatori, che hanno il diritto di accedere a vini la cui filiera sia ben controllata, più che di garantire il dichiarato “particolare pregio”, e questo si può anche capire. Certo, basterebbe dirlo più chiaramente, ma forse è volere troppo. Ma dove le cose sfiorano il grottesco è quando qualunque prodotto, qualunque vino, diventa “eccellenza” solo per motivi elettorali, determinando valanghe di denominazioni inutili e valanghe di discorsi esaltatori che somigliano molto a quello della “Corazzata Potemkin” di fantozziana memoria. E’ vero, in Italia ci sono tanti prodotti buoni e tipici, alcuni solo buoni e piacevoli, altri vere “eccellenze”. Se non si riuscirà a creare una gerarchia credibile, se tutto sarà esaltato come straordinario otterremo due risultati. Il primo è che qualcuno un giorno o l’altro comincerà a dire che il re è nudo, e che magari un buon prodotto industriale potrebbe essere migliore di un “falso eccellente”. Il secondo, che ne è conseguenza, è che le persone non ci crederanno più. Con buona pace del “made in Italy” e dell’inflazione delle “eccellenze”.





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