La stella del Sassicaia

di Daniele Cernilli 14/05/18
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Nicolo e Priscilla Incisa della Rocchetta Tenuta San Guido Sassicaia Editoriale Daniele Cernilli firmato Doctorwine

Quest’anno ricorrono i 50 anni dalla nascita del Sassicaia, il vino bolgherese icona dei grandi rossi italiani nel mondo.

Il 1968 non è stato solo l’anno del maggio francese, di Rudi Dutchke e di Daniel Cohn-Bendit. Fu anche l’anno nel quale avvennero un sacco di cose nel mondo vitivinicolo italiano. La vera rivoluzione partì da Bolgheri, proprio il paesino della poesia del Carducci “davanti a San Guido”, quella dei cipressi alti e schietti in duplice filar. Proprio accanto al famoso viale dei cipressi c’era, e c’è, la Tenuta San Guido dei Marchesi Incisa della Rocchetta. E c’era, e lui purtroppo non c’è più, Mario Incisa della Rocchetta.

Il vino si faceva anche prima, fin dal 1948, era il vino “della Sassicaia” e prendeva nome dal vigneto che si estendeva proprio al di là del campo di equitazione. Sì, perché gli Incisa erano famosi allevatori di purosangue e i mitici Nearco e  Ribot, e quasi tutti i migliori cavalli della razza Dormello Olgiata crebbero e si allenarono proprio su quella pista accanto ai vigneti. Pensate che Mario Incisa ingaggiò addirittura Federico Tesio, il più grande allevatore di purosangue della storia dell’ippica mondiale, per lavorare con lui.

Tutto questo con il vino non c’entra nulla. C’entrano però le convinzioni, direi quasi la filosofia naturalista che animava Mario Incisa, e c’entra la parentela di questi con gli Antinori. Così un giorno Niccolò Antinori e suo figlio Piero gli proposero di servirsi di Giacomo Tachis per rendere un po’ più ampia la produzione di quel suo vino bolgherese, che veniva da una zona che non era certo famosa per produrre grandi rossi e che era prodotto con del cabernet sauvignon, piantato inizialmente con del materiale viticolo che Incisa aveva preso dal Duca Salviati di Migliarino.

Il Sassicaia era nato, e la sua prima annata fu proprio quella del ’68. In effetti, da alcune indiscrezioni, poi si venne a sapere che si trattava di un taglio fra ’66, ’67 e ’68. Forse anche un pizzico di ’65 e di ’69. Ma del resto anche il maggio francese trasse ispirazioni dalla rivolta studentesca di Berkeley avvenuta negli anni precedenti, e Marcuse era un idolo anche a Nanterre. Va inoltre ricordato che la sua data di uscita sul mercato fu nel 1971, dopo poco più di due anni dalla vendemmia.

Il Sassicaia era un vino completamente diverso da tutto ciò che si era visto ed assaggiato prima in Italia. Per produrlo, a partire dalla versione del ’72, vennero usate le barrique francesi, botticelle da 225 litri di rovere del Massiccio Centrale, sperimentate in precedenza forse solo da Nello Letrari, allora enologo dei Bossi Fedrigotti, per produrre il Foianeghe Rosso, nei pressi di Rovereto. Eravamo nel lontano 1962. Poi proveniva da Bolgheri, una zona nota per le spiagge, le pinete, i cavalli, ma dove si era sempre fatto del vino mediocre (la Doc dell’epoca prevedeva solo Rosé) ed era prodotto non con il sangiovese, vitigno rosso toscano per eccellenza, ma con il francesissimo cabernet sauvignon, e con un piccolo saldo dell’altrettanto francesissimo cabernet franc. Infine, era frutto di un progetto, non di una tradizione, e questo per il sonnacchioso e conservatore mondo vinicolo di allora era assolutamente rivoluzionario.

Da persona dotata di intelligenza e di sensibilità non comuni, Gino Veronelli se ne accorse subito e iniziò a scriverne. Alla metà degli anni Settanta il Sassicaia di Bolgheri, rosso non Doc, senza storia e che derivava da una zona sconosciuta, era diventato un mito della vitienologia italiana e aveva innescato una miccia che avrebbe fatto scatenare una pacifica rivoluzione enologica, prima fra le vigne toscane, poi in tutto il resto d’Italia. Tanto da permettermi di affermare che tutti i vini moderni italiani sono in qualche modo suoi discendenti.

Le annate migliori? Non ditelo a nessuno, ma io preferisco l’88 all’85, che è stata quella più mitizzata. Poi il ’98, il 2001, tra quelle vecchie il ’77 e il ’78. Tra le ultime il 2009 e la “triade magica” 2011, 2012, 2013 e poi l’immenso 2015. Mario Incisa ci ha lasciato quasi trent’anni fa, è perciò giusto ricordare che da allora al timone dell’azienda c’è suo figlio Niccolò, un uomo schivo e gentile, che ha lavorato nell’ombra regalando a tutti gli appassionati gioielli enologici incomparabili. Da qualche anno c’è anche Priscilla Incisa della Rocchetta, figlia di Niccolò e nipote di Mario, a dare continuità all’azienda.

Il risultato è che oggi il Sassicaia, che ha ottenuto la Doc nel 1994 come Bolgheri Sassicaia, è forse il vino italiano più famoso fra gli intenditori e i critici di mezzo mondo, e viene spesso paragonato ai grandi premier crus di Bordeaux.

Del resto proprio Mario Incisa, giovanissimo, negli anni Venti, sorseggiando un rosso prodotto dal Duca Salviati di Migliarino e ottenuto proprio con il cabernet sauvignon, ebbe a scrivere che il ricordo andava proprio a un vecchio Bordeaux che aveva assaggiato qualche tempo prima.

Per concludere. Oggi il Sassicaia, o meglio, il Bolgheri Sassicaia, deriva da una selezione di uve ottenute da circa 90 ettari di vigneti, la produzione totale non è dichiarata, ma si presume che non raggiunga le 200 mila bottiglie l’anno, la metà della maggior parte dei Premier Cru di Bordeaux. Il prezzo dell’ultima annata, la 2015, è di circa 200 euro in enoteca, ma versioni rare e pregiate, come la mitica ’85, possono anche superare i 2.000 euro di quotazione nelle aste internazionali di vino.

Domani vedremo da vicino le caratteristiche organolettiche di 50 anni di un vino mito.


 

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