La diabolica solforosa

di Daniele Cernilli 10/02/14
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La diabolica solforosa

Ne scrissi un po’ di tempo fa, in un editoriale intitolato proprio “anidride solforosa”. Ci ritorno sopra ora perché sono stati pubblicati dei dati, ampiamente ripresi da stampa e blogger, che avevo in parte anticipato e che determinano molti interrogativi. Il primo è perché se si parla di solforosa, il vino è il primo degli alimenti che vengono messi sul banco degli imputati. Il massimo del contenuto di So2 consentito nei vini è di 240 mg per litro, con una deroga fino a 400 mg per i vini botrytizzati, come i Sautérnes, ad esempio, che mi risultano essere i vini più“solforati” del mondo, Chateau d’Yquem in testa. Molti produttori, tutti quelli che lavorano con attenzione uve sane, non aggiungono più di 100 mg per litro, che scendono da 60 ad 80 nel caso di grandi vini rossi.

Io non voglio dire che ingerire So2 faccia bene, come neanche ingerire alcool oltre precisi limiti, che peraltro io infrango spesso, ma quando leggo che nella frutta secca e nelle apparentemente innocue patatine fritte, quelle che mangiano a chili i bambini, di So2 ce n’è dieci volte quella che viene aggiunta nel vino, allora sento puzza di ideologia. Sento quanto meno una strategia delle grandi industrie che tende a far cercare il “nemico” da altre parti, e il vino va benissimo come capro espiatorio: è prevalentemente prodotto da aziende medio-piccole che non hanno alcuna possibilità di difendersi efficacemente. Quindi è perfetto da mettere sul banco degli imputati al posto delle prugne secche, delle patatine fritte, del mais in scatola e via discorrendo, tutti prodotti da grandi industrie multinazionali.

Il fatto è, però, che a questo si aggiungono, spero inconsapevolmente, persone che, pensando di far bene, teorizzano la produzione di vino senza solforosa come la panacea assoluta. Ora, la So2 è un disinfettante del vino, un antibatterico e serve sostanzialmente ad evitare che vini imbottigliati possano “muoversi”, attraverso code di fermentazioni alcoliche o malolattiche, o che subiscano processi ossidativi eccessivi. Si possono produrre vini anche senza uso di solforosa, e che non abbiano problemi come quelli appena esposti, ma c’è da chiedersi se i procedimenti ai quali sono sottoposti, in alternativa, siano più o meno invasivi dell’uso dell’esseodue. Non ho una verità in tasca, solo domande, ma nel frattempo rischierò di assumere qualche grammo di solforosa al mese, sperando di sopravvivere. Se ce l’ho fatta da ragazzo con le patatine fritte...





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