Che peccato…

di Daniele Cernilli 12/12/16
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Che peccato…

Chi mi legge e mi ha sempre seguito dopo la mia uscita dal Gambero Rosso, che risale ormai a quasi sei anni fa, sa bene che nei confronti della mia vecchia azienda, che ben trent’anni or sono ho contribuito a far nascere, non ho usato mai parole che non fossero affettuose e rispettose. Me ne andai in punta di piedi, senza pretendere nulla più di quanto mi spettava per legge, e soprattutto senza fare polemiche con strascichi legali. Non ce n’era motivo, e l’amarezza che provai all’epoca era solo quella di chi avrebbe voluto vedere dei percorsi diversi, privi di dolorosi strappi, in qualche caso davvero ingiustificabili, come fu il licenziamento di Stefano Bonilli, che persino la Magistratura definì in seguito infondato.

Ora, in occasione del trentesimo anniversario di quella nascita e dell’inizio di una storia che per molti anni fu esaltante, non posso non dare un’occhiata alla quotazione raggiunta dalle azioni che la Gambero Rosso Holding ha collocato in Borsa. L’esordio, il 23 novembre del 2015, fu di 1,60 euro. La quotazione del 9 dicembre 2016 è di 0,33 euro. La borsa, è vero, ha perso nel frattempo quasi il 25% del suo valore, ma le azioni del Gambero hanno più che triplicato quella perdita, arrivando ad oltre l’80% del valore iniziale. Una risposta durissima dai mercati, insomma, e questo nonostante i bilanci non siano poi terribili. A cosa si debba una performance così negativa non riesco neanche io a farmene una ragione, e l’unica cosa che mi preoccupa davvero è la sorte dei tanti colleghi e amici che ho lasciato lì, e che talvolta mi raccontano delle loro preoccupazioni, comprensibili peraltro, se si guardano certi dati. Certo, l’avventura in Borsa, nell’Aim che è quella sezione dedicata alle piccole aziende, non è stata fortunata fin dall’inizio. Il collocamento fu curato dalla Banca Popolare di Vicenza, che nella gestione di Zonin ha avuto enormi problemi. Ma di certo nessuno avrebbe pensato a un crollo verticale, senza mai riprese, in un intero anno e per una percentuale così vistosa.

Da parte del management non arrivano commenti e neanche analisi, come se tutto fosse normale e per nulla preoccupante. Oppure non riescono a capire neanche loro le ragioni di un andamento così deludente. Chissà. O forse pensano che, essendo il flottante solo il 30% del totale del capitale, alla fine il problema non sia così grave. Di  certo però un fenomeno del genere potrebbe avere conseguenze sul valore del marchio, e su quanto questo potrà essere valutato nei futuri bilanci. E vi assicuro che stavolta vorrei davvero sbagliarmi, e di tanto.





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