Calici di boria

di Daniele Cernilli 06/03/17
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Calici di boria

La definizione non è mia ma mi è piaciuta molto. L’ha ideata il signor Riccardo (il cognome non lo conosco) in un intervento che ha postato sul nostro sito, a commento del pezzo sugli “enofighetti”. Una definizione perfetta, che rende l’idea e che fa capire quanta distanza ci sia fra i gruppi di quegli iper-appassionati di vino che si parlano, e si bevono, addosso, e la maggior parte di chi si avvicina a questo mondo con curiosità e sano interesse.

Penso però che molto abbia a che fare con l’incapacità di comunicare che attanaglia anche molti produttori, che parlano forse troppo di argomenti tecnici o ideologici e si rivolgono troppo poco a chi poi il vino lo acquista e lo beve davvero, e non sempre è un tale esperto da poter decodificare i discorsi eccessivamente interni alla materia. Lo vediamo anche nella comunicazione generalista, dove, ad esempio, a fare gli opinionisti nei talk show vengono talvolta chiamati alcuni chef, ma quasi mai esponenti del mondo del vino, produttori o giornalisti che siano, considerati del tutto inadeguati a comunicare a un pubblico in gran parte ignaro di quel mondo. Così, invece di provare a spiegarlo con semplicità, cosa non impossibile visto che grandi divulgatori come gli Angela o Tozzi ci riescono per argomenti ben più complessi, il vino resta sconosciuto, difficile ed escludente. Borioso, autoreferenziale, ideologico, almeno nella mente di tanti.

Bisogna uscire da questo stallo, velocemente e con efficacia. Smetterla di buttarla troppo su tematiche poco comprensibili e iniziare a spiegarsi, raccontando storie, territori, tradizioni e anche sapori, ma senza parlare nell’ordine, di lieviti “autoctoni” (che probabilmente non esistono neanche), di “biodinamica” (come se le letture di Steiner fossero comuni come quelle di Stephen King), di “antociani” anche nelle loro sottovarietà, di “mineralità” (anch’essa inesistente, ma che riempie bene la bocca di chi non sa bene cosa dire) e di simili amenità.

Proviamo a percorrere la strada di una sana divulgazione scientifica, se mai, accanto al racconto di luoghi e di persone, cercando di rendere comprensibile, fruibile, in una parola, utile, ciò che diciamo o scriviamo a più persone possibile. Senza autocompiacimento, senza autoreferenzialità e senza attingere da calici di boria.





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