Romano Dal Forno: tradizione, passione e tecnologia

di Livia Belardelli 23/03/16
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Romano Dal Forno: tradizione, passione e tecnologia

Prima tappa: colline venete nella nebbia, direzione azienda Dal Forno

Una nebbia spessa avvolge colline e vigneti. Mentre procediamo verso la cantina possiamo solo intuire la natura che abbiamo intorno. Viti, letti di fiume, profili di colline sono solo candido e pannoso bianco. Nonostante questo i due enormi cancelli della tenuta di Romano Dal Forno si stagliano massicci e visibili sulla strada. E così anche lui, che ci viene incontro sorridente seguito da un cucciolo di Husky scodinzolante. Ci accoglie nella sua casa, davanti a un austero tavolo di legno mentre la moglie, che conosciamo poco dopo, sta probabilmente preparando un pranzo domenicale per tutta la famiglia. Passano anche due dei figli, e un nipotino. Romano lo prende in braccio mentre ci racconta com'è cominciato tutto, ormai diversi anni fa. Sfoggia da un lato un fiero affetto di nonno, dall’altro l’entusiasmo imprenditoriale di un uomo che ha creduto nelle sue idee e le ha messe in bottiglia.  
“Quella terra è buona soltanto per coltivare mais” gli aveva detto bonariamente il grande maestro dell’Amarone Bepi Quintarelli, ma il giovane Dal Forno, che all’epoca aveva 26 anni, prese quello scetticismo come una sfida, fiducioso del potenziale delle colline d’Illasi. Probabilmente aveva entusiasmo al tempo almeno quanto ne ha oggi davanti a noi. Si vede che ha inseguito un sogno e l’ha trasformato, con pervicace convinzione, in realtà. Se l’è conquistato giorno dopo giorno, con intelligenza, lungimiranza e ardore.


Quando scendiamo in cantina percepisco un connubio perfetto tra tecnologia e passione, tra modernità e tradizione. È qualcosa di raro e sottile, difficile da trovare. È tecnica messa a servizio della tradizione, innovazione utilizzata per veicolare la qualità. Così procediamo tra scale ed enormi ambienti pieni di botti. Anche alcune moto Guzzi degli anni '30 in realtà, altra grande passione di Romano. Scendiamo sempre più giù nel ventre opulento e fascinoso delle cantine. Fuori c'è Oliver, cucciolo giocherellone, a "fare la guardia", qui sotto ci sono grandi leoni di pietra, custodi di un tesoro di bottiglie che riempiono gli scaffali dei sotterranei.

Arriva poi il momento degli assaggi, un cerimoniale pagano eseguito con gesti precisi e perfetti, con il “ladro” suonato come uno strumento musicale. Assaggiamo l’annata 2013, campioni di botte che ancora hanno un lungo percorso davanti. Il Valpolicella è pieno e concentrato, con sensazioni affumicate, floreali e speziate. L’Amarone, sempre annata 2013, incede con sensazioni ricche e affumicate, un fruttato dolce che in bocca si equilibra già con un bel tannino e un’ottima acidità. Assaggiarli lì, in quella cattedrale sotterranea, è emozionante.
Mentre risaliamo ci fermiamo al piano sottostante la casa e qui Romano ci porge due bottiglie per la degustazione da effettuare a Roma, con Riccardo Viscardi (mediatore della mia visita da Dal Forno, suo grande amico).
E così, quando ormai sono quasi le due, dopo più di due ore volate tra racconti, visita in cantina e splendidi assaggi, riprendiamo la macchina e puntiamo verso Verona, stavolta accompagnati da un paesaggio svelato finalmente dal diradarsi della nebbia.


Seconda tappa: Roma, interno salotto, tardo pomeriggio

Le bottiglie sono pronte sul tavolo e anche io e Viscardi siamo seduti con le papille affilate pronti all’assaggio. Davanti ai nostri occhi Valpolicella 2010 e Amarone 2010. Non ce lo facciamo ripetere due volte.

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