The Alchemist (2): Mauro Lotti e il Martini Cocktail

di Livia Belardelli 04/05/16
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The Alchemist (2): Mauro Lotti e il Martini Cocktail

“Il sole tramonta e comincia l’ora viola dei desideri”, questo l’incipit di Mauro Lotti all’hotel Adriano di Roma, bartender di fama mondiale e oggi consulente Martini & Rossi, che ha attraversato gli anni ’60 e ’70 sorseggiando ogni istante della Dolce Vita dietro il bancone del Grand Hotel di Roma.

Comincia calando subito il suo pubblico in quell’atmosfera magica che accompagna il crepuscolo, che prelude alla sera. Ha i modi del nobile d’altri tempi Lotti, una teatralità misurata ed empatica che conquista immediatamente. Come le sue parole, che raccontano di un cocktail affascinante come il Martini, che attraversa guerra, arte e letteratura, si insinua tra i secoli, seduce i palati più ricercati ed esigenti, diventa uno status symbol.
Si parla per la prima volta di Martini nel 1880 quando il cocktail nato in America, come tanti altri, non ha molto a che fare con ciò che intendiamo oggi. Si preparava con vermouth rosso e si addizionava di zucchero, colore e sapore erano decisamente diversi da come ce lo immaginiamo noi, limpido e minimalista nella classica coppa Martini. Un po’ come lo champagne mi viene da pensare, le somiglianze storiche sono molteplici. Anch’esso in grado di soddisfare i palati più esigenti, le corti francesi, anch’esso un tempo ben diverso da come lo conosciamo oggi. Era dolce lo champagne alla corte di Luigi XV, quando la leggenda lo vuole servito in coppe confezionate sullo stampo del seno di Madame de Pompadour. Oggi abbiamo la flûte, per la verità una “flûte” sempre più ampia che strizza l’occhio a rotondità maggiori in grado di esaltare i profumi di un liquido altrettanto magico e ricco di storia.


Ma torniamo al Martini, alla sua evoluzione che lo vede spingersi verso un gusto più secco grazie all’utilizzo del London dry e del vermouth bianco. Da qui le declinazioni del Martini sono molteplici, ognuna con una sua storia dietro e un suo più o meno celebre “testimonial”.
Roosevelt  sdoganerà il Dirty Martini, versione senza oliva/e (pare ce ne vogliano tre nella versione canonica), sostituita dalla salamoia stessa, in grado di dare una sapidità pungente e un gusto salmastro molto incisivo.
C’è poi il Martini on the rocks, versione che fa sgranare gli occhi ai puristi del gin e che suscita una reazione sdegnata non tanto diversa da quella degli amanti delle bollicine che reputano sacrilega l’aggiunta anche di un solo cubetto di ghiaccio al prezioso liquido (d’altronde suona un po’ come un piatto di pasta condito con il ketchup!). Per il Martini però la versione con ghiaccio ha una testimonianza di eccezione, Umberto Eco , che lo beveva così per non ubriacarsi come molti intellettuali amanti del celebre cocktail che non rinunciano al Martini ma si accontentano di sorseggiarne lungamente un bicchiere soltanto senza approdare al secondo e tenendo la mente lucida.

Impossibile poi non parlare della celebre diatriba tra agitato e mescolato, affrontata nel mondo del miscelato alla stregua della enoica querelle tra barrique e botte grande. In questo caso sembrerebbe avere la meglio la versione "shaken not stirred" diventata celebre grazie al suo più famoso bevitore, James Bond,  che però beve Vodka Martini. Eppure, la versione inversa, mescolato e non agitato, ha nelle parole di Somerset Maugham , una sensuale spiegazione: “va mescolato perché le molecole del gin e del vermouth si devono adagiare sensualmente le une sulle altre”. Infine, per essere puntigliosi, c’è anche la versione “riposata” che non fa torti a nessuno, né mescolato né agitato, ma lasciato a riposare qualche secondo a contatto con il ghiaccio in modo che gli elementi si compenetrino in maniera meno omogenea e senza incamerare ossigeno e il sapore del vermouth arrivi “ad onde”.

Di seguito la ricetta base del Martini e una variante che porta la firma di Mauro Lotti che aggiunge un nuovo ingrediente alla forza del gin, alla sensitività del vermouth e alla freschezza del ghiaccio: l’ostrica.

Martini Cocktail (ricetta base) 
Ghiaccio nel mixing glass
5 cl gin
Vermouth quanto basta

Oyster Martini (variante) 
di Mauro Lotti
Ghiaccio nel mixing glass
5 cl gin
Vermouth quanto basta
L’ostrica viene infilzata in uno stecchino e posizionata a cavallo del bicchiere. Il gin viene versato direttamente sopra l’ostrica in maniera che l’ostrica si insaporisca di gin e il gin incameri gustose sensazioni saline. Si degusta mangiando prima l’ostrica e poi sorseggiando il Martini.

E adesso è tempo di tramonto, arriva l’ora viola, arriva la ricreazione degli adulti.





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